C’è un curioso paradosso che attraversa il dibattito sul futuro del turismo montano. Da una parte, si promuove una visione della montagna come un luogo di contemplazione, dove il tempo scorre lento tra pascoli, malghe e sentieri silenziosi. Dall’altra, c’è chi sogna un’alta quota più dinamica, che sappia attrarre giovani, eventi e attività sportive adrenaliniche. Spesso queste due visioni vengono contrapposte, quasi fossero inconciliabili. Ma siamo sicuri che debba essere per forza così?
Parliamo spesso di sostenibilità, un concetto nobile e necessario. Ma sostenibilità non significa rigidità ideologica, né tantomeno esclusività. Eppure, sembra esserci una parte di opinione pubblica che, nel nome della tutela ambientale, vorrebbe trasformare le nostre montagne in santuari inaccessibili a tutto ciò che non rientra in una visione romantica e forse un po’ antiquata della montagna. Per loro, la montagna dovrebbe restare un regno di silenzio e lentezza, un rifugio per un turismo lontano dalle masse e spesso anche dalle nuove generazioni, un luogo dove si va a letto presto per alzarsi altrettanto presto. Una posizione che spesso viene definita progressista ma che, paradossalmente, rischia invece di rendere la montagna meno inclusiva, confinandola a un pubblico sempre più ristretto e culturalmente elitario.
Ma chi l’ha detto che la montagna non possa anche essere divertimento? Perché accettiamo che le località balneari possano essere animate da eventi, locali notturni e attrazioni per tutti i gusti, mentre la montagna dovrebbe essere condannata a un’immutabile quiete monastica? Taormina ne è un esempio perfetto: luogo di straordinaria bellezza naturale e culturale, eppure capace di accogliere grandi eventi, festival internazionali e flussi turistici di ogni genere, senza per questo perdere la sua anima. Se si può trovare un equilibrio a Taormina, perché non in montagna?
Quello che serve è una visione più ampia e moderna, che non veda il turismo slow e quello più dinamico come due nemici inconciliabili, ma come parti complementari di un’offerta turistica equilibrata e sostenibile. Certo, dobbiamo proteggere con rigore i nostri ecosistemi montani, evitare speculazioni edilizie e gestire con attenzione i flussi turistici. Ma questo non significa rinunciare alla vitalità e alla varietà dell’esperienza turistica.
Dunque, perché non dire sì alle ciaspolate, alla mobilità dolce, al turismo rurale, allo sci di fondo ma anche al fun bob, ai locali, al divertimento notturno, ai concerti, ai festival, al downhill, allo sci alpino, agli eventi sportivi internazionali? Perché non abbracciare sia la tranquillità che la festa, sia i pranzi in malga che i ristoranti stellati, sia la famiglia con lo zaino pieno di panini – perché non può permettersi altro – che i turisti in cerca di esperienze gourmet? La montagna deve restare un luogo per tutti, anche per chi la domenica mattina invece che mettersi gli scarponi, preferisce dormire fino a tardi dopo una notte in discoteca.
Non dobbiamo aver paura di immaginare un turismo che sappia parlare a pubblici diversi, che accolga le nuove generazioni senza snaturare la propria identità. La vera sostenibilità è quella che sa bilanciare tutela ambientale e vitalità economica, rispetto del paesaggio e apertura al nuovo. Perché la montagna non è un museo, ma un luogo vivo. E come ogni luogo vivo, deve saper evolvere senza tradire se stessa.
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