Incassato tra i prati e le pietre del Colle d’Echele a Sasso di Asiago, il Monumento a Roberto Sarfatti si trova nel punto in cui il giovane volontario perse la vita durante la Prima Guerra Mondiale. Un segno architettonico essenziale, pensato per tenere viva la memoria del figlio da parte di sua madre, Margherita Sarfatti, e allo stesso tempo riflesso di una precisa idea di arte, forma e ricordo.
Roberto Sarfatti, nato nel 1900, si arruolò volontario a soli 17 anni nel 6º Reggimento Alpini. Morì il 28 gennaio 1918 durante un assalto sul fronte dell’Altopiano e fu insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare. La madre, Margherita, fu una figura di spicco della cultura italiana dell’epoca: scrittrice, critica d’arte, ebrea, intellettuale raffinata e influente nella scena culturale e politica degli anni Venti e Trenta. Fu vicina a Benito Mussolini fin dai primi anni del fascismo, al punto da contribuire alla costruzione della sua immagine pubblica con la biografia Dux, pubblicata nel 1926 e tradotta in numerose lingue. Il loro rapporto fu anche personale e sentimentale, ma si incrinò progressivamente negli anni Trenta, fino a interrompersi del tutto con l’approvazione delle leggi razziali del 1938, che colpirono duramente anche lei.
A lei si deve la scelta di affidare il progetto del monumento a Giuseppe Terragni, tra i maggiori esponenti dell’architettura razionalista, celebre per il Novocomum e la Casa del Fascio di Como.
Realizzato nel 1934, l’intervento di Terragni si distingue per rigore e misura. Il monumento ha pianta a T, è costruito con conci di pietra squadrati e si articola su livelli: una scalinata di quindici gradini conduce a un cubo centrale monolitico, privo di orpelli, su cui è incisa un’iscrizione semplice e diretta. Intorno, un recinto in legno delimita il perimetro, lasciando però libera la vista sul paesaggio aperto dell’Altopiano.
L’elemento architettonico non invade, non impone. Il lessico è quello del razionalismo, fatto di forme pure, assenza di retorica, geometria rigorosa. Terragni sceglie di non raccontare l’eroismo con simboli, ma con una presenza fisica netta, che lascia spazio al silenzio. Il paesaggio diventa parte dell’opera stessa, e viceversa: l’architettura si inserisce senza alterare, dialogando con l’ambiente naturale.
Il monumento evita ogni deriva celebrativa. È un lavoro che tiene insieme memoria personale e attenzione formale, e che nel tempo è diventato anche uno degli esempi più significativi del razionalismo applicato a un’opera commemorativa.
Il valore dell’opera è anche nella sua dimensione privata: non un sacrario di Stato, ma un gesto personale, commosso, intellettuale. Margherita Sarfatti non volle un mausoleo, ma un segno forte, moderno, capace di restare nel tempo.
Ancora oggi il monumento rimane parte del paesaggio, con la sua forma essenziale e misurata. Un’opera che, senza clamore, continua a dialogare con il luogo e con chi la osserva.
Il progetto
La visita di Vittorio Sgarbi
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