Ekar records: l’etichetta discografica berlinese che prende il nome dall’Osservatorio asiaghese

Esplorare lo spazio, viaggiare nel futuro. Da sempre sono stati tra gli obiettivi principali dei musicisti elettronici, che oggi invece inseguono altre ambizioni. Si preferisce descrivere l’oggi rimarcandone involontariamente i contrasti. L’avanguardia gode nel sentirsi altrove anche rischiando l’isolamento, il ritmo più paraculo consente alla massa di provare l’ebbrezza di una fuga schizzofrenica dai dogmi quotidiani, salvo poi riavvicinarsi quando il portafogli langue.

Poi c’è chi insegue i sogni facendosi guidare da costellazioni antiche che, per quanto ancora splendenti, non sono comprensibili e interpreatabili da chiunque. Eppure il messaggio è chiaro, basta soltanto stare con la mente aperta. Dalla galassia sonora degli anni ’90 arrivano nitide le istruzioni per raggiungere ogni pianeta.

Dalle parti dell’etichetta discografica Ekar Records sono degli ottimi ascoltatori e dimostrano di avere le idee chiare sin da quando hanno preso in prestito il nome del monte di Asiago su cui sorge l’osservatorio astronomico dove lavorava il padre di uno dei fondatori.

Le rotte stellari li hanno portati a Berlino e in dieci anni di attività si sono ben destreggiati tra uscite fisiche e digitali, pubblicando perle come Eria di Alan Backdrop, ma soprattutto portando avanti un percorso coerente fatto di scelte non scontate.

Fondata da Enrico Bozzato alias Air Protection Office e con sede a Berlino, Ekar non è solo un’etichetta discografica ma una piattaforma di condivisione che consente agli artisti di divulgare i propri lavori, musica e opere d’arte. La mission è sostenere e condividere l’idea di diffondere creatività e passione senza limitare la fruizione a pubblici specifici, soprattutto per ragioni economiche.

Tra gli artisti che hanno collaborato con Ekar oltre ai già citati Air Protection Office e Alan Backdrop, troviamo nomi come quelli di Terminal Sync, Volsent, The Volume Settings Folder, a_000, Martino Mostacci aka Hoopoe,  Mauro Martinuz, Francesco Rosso.

Credit: Federico Spadavecchia

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