Overtourism: è questo il nuovo spauracchio -a ragione- per non poche delle nostre splendide località turistiche nonché per templi della cultura, di cui l’Italia è ricchissima.
Non serve ricordare che il Belpaese è lo Stato nel mondo che da solo ha di più siti riconosciuti Patrimoni Mondiali dell’Umanità – UNESCO (58 siti), riconoscimento talvolta criticato e da alcune autorevole voci sminuito, eppure uno dei parametri di valutazione sulla propria meta di vacanza.
Se si parla di Italia certamente l’overtourism è fenomeno che la investe in estate, quando il bel tempo consente di fruire con ancor maggiore gradevolezza di luoghi di per sé splendidi, ove le condizioni climatiche favorevoli acuiscono le sensazioni di “scampoli di paradiso terrestre”.
In tal senso a chi non viene da pensare a Venezia, alle Cinque Terre e Portofino, a Positano e alla Costiera Amalfitana, alle città di Padova, Firenze, Pisa, alla Valle dei Templi, Siracusa e Noto, alla Reggia di Caserta, alle Ville Palladiane, ai borghi di Pienza e San Gimignano, e via scorrendo la lunga lista.
La pandemia da Covid-19 aveva fatto uscire dai titoli e dagli approfondimenti l’overtourism, che invece ora è tornato caldo oggetto di discussione. E come potrebbe essere altrimenti?
In luoghi anche non piccoli, che meritano non solo valorizzazione ma anche attenta tutela e buona conservazione, l’overtourism rischia di impattare negativamente e generare ricadute a negatività progressivamente esponenziale.
La chiusura o meglio la limitazione degli accessi ai luoghi “assaltati” da masse di turisti sempre più numerose è una scelta sempre più presa in considerazione da amministrazioni locali, enti gestori e istituzioni governative. Certamente questa soluzione con l’accetta garantirebbe un afflusso sopportabile. Ma non sarebbe forse appunto una scelta un po’ tagliata grossolanamente?
Conosciamo tutte e tutti pressoché tutti i siti patrimonio dell’Umanità UNESCO italiani: a dirli faremmo fatica, ma ad ascoltarli leggere per ognuno diremmo “ma certo, lo conosco, lo ho già sentito!”.
Possibile non vi siano davvero altre località, altre città, altri borghi, altri musei, altre aree naturali dal potenziale di pace conferita, di relax offerta, di cultura emanata che siano quasi comparabili?
Qui si tratta da parte delle amministrazioni locali, degli enti di gestione e tutela del patrimonio e delle istituzioni governative di ampliare la pubblicizzazione di luoghi, località, parchi, musei ed ogni altro tipo di sito di interesse meritevole. E’ una scelta politica, forse controcorrente, ma saggia e di lungo periodo, nonché capace di rivitalizzare anche altre aree del Paese forse oggi meno battute dalle masse di turisti capaci -ma un po’ rapaci- di portare denaro contante ove sostano anche per poco tempo.
Certamente bisognerebbe interrogarsi maggiormente su quale tipo di turismo genera questo pericoloso overtourism: se un turismo consapevole, attento, sostenibile, o se invece si tratta di un turismo predatorio, mordi e fuggi, mosso più da contenuti virali e intento a divorare quanto ad esso offerto su un piatto d’argento.
Siete mai stati al Louvre? Se avete avuto occasione -in caso negativo sui social si trovano contenuti simili- è davvero singolare, quando si è nella grande sala davanti alla ‘Gioconda’, fermarsi un momento, alzare lo sguardo e fargli compiere un giro di 360° ad altezza uomo: ci si accorgerà che tutti hanno in mano uno smartphone, con cui fotografano o il celeberrimo quadro o sé stessi assieme al celeberrimo quadro in un immancabile selfie da custodire per sempre nella propria memoria virtuale.
Non c’è nulla di male in tutto ciò: rendere immortale un istante, ‘instagrammare l’attimo’: tutto è lecito, nulla va giudicato con troppa leggerezza.
L’aspetto qui interessante è un altro in realtà: in quella medesima stanza, proprio di fronte alla Mona Lisa, è appeso un quadro di dimensioni mastodontiche e bellezza sorprendente. Nessuno lo fotografa, nessuno ci si fa una foto assieme, tutti gli passano davanti, magari standogli appresso per alcuni minuti mentre sono in fila “per la Gioconda”. Ecco cosa si intende con azione di ente superiore per ri-orientare interessi e mete turistiche.
Peraltro poi una così alta concentrazione di attenzione e afflusso su alcuni luoghi genera una inflazione dei prezzi particolarmente sensibili proprio lì dove il desiderio -non propriamente genuinamente generatosi- più spinge ad andare. Ciò comporta anche una sempre più elevata soglia di accesso, per così dire, a siti ormai mainstream, peraltro costringendo le masse più numerose ad una permanenza sempre più breve e quindi più ‘mordi e fuggi’, con tutto ciò che ne consegue. Diciamo che involontariamente questo sistema genera ulteriori gap di diseguaglianza perfino nel vivere il proprio tempo libero ed interpretare quindi il turismo.
Ancora, proviamo ad allargare lo sguardo, partendo dalle vite di tutte e tutti noi. Non è forse vero anche che sì, l’estate è la stagione migliore per viaggiare, ma anche che…beh: “tu quando prendi le ferie?”, domanda a cui spesso la risposta è: “quando me le da l’azienda”, cioè la settimana di ferragosto, immancabilmente. Perché se è vero che non abbiamo solo quella settimana e che andiamo in ferie anche in altri momenti dell’anno, è egualmente vero che pressoché tutte le aziende optano di chiudere e di indicare, per quanto di propria competenza, proprio la settimana di ferragosto quale quella di chiusura aziendale e quindi forzatamente di tutti i lavoratori dipendenti. Questo a sua volta implica una scelta obbligata per coloro che volessero godere di due settimane consecutive di ferie ad optare di conseguenza o per la settimana precedente o per quella successiva. Sono valutazioni general generiche, eppure i dati mostrano quanto siano scelte maggioritarie presso il nostro mondo del lavoro.
La pandemia ci ha costretto -e incentivato, orsù, acquisiamone consapevolmente anche gli elementi positivi apportatici- a ripensare orari e forme di lavoro: dallo smart working, al telelavoro, alla settimana flessibile. Sono argomenti già comparsi prima della pandemia, ma che questa ed il necessario lockdown hanno spinto a divenire attualità per la massa ampia dei lavoratori.
Ecco allora che da qui forse si potrebbe partire a ragionare per ripensare anche le scelte organizzative aziendali. Ed anche qui la politica, le istituzioni governative, le amministrazioni locali -più queste degli eneti di gestione e tutela del patrimonio- potrebbero ben attivarsi e mettere in moto processi di cambiamento e ripensamento anche dei tempi e dei modi del lavoro aziendale. Perché ancora può e deve essere sempre e solo la settimana di ferragosto quella di chiusura aziendale. Perché non può essere un’altra?
I dati del traffico autostradale, sia nei numeri di mezzi, sia nei chilometri di code, sia nella sempre più alta media di vittime della strada di tutto il resto dell’anno ci restituisce prova ulteriore della irresponsabilità di una non-scelta per inerzia a cui si deve dare invece una risposta.
Se qualcosa abbiamo imparato è che la rimodulazione del lavoro può anche avere impatto e conseguenze positivi sulla qualità della vita delle persone. E’ il tempo di scelte coraggiose, anche innovative, anche con qualche errore iniziale cui necessiterà apportare pronta correzione. Ma il sistema ora non regge più.
Non si tratta di un numero di turisti eccessivo in generale, quando si parla di overtourism si tratta di una dose concentrata troppo elevata di turisti in quel periodo dell’anno. Andateci voi a Venezia o alle Cinque Terre ad ottobre -o meglio in qualsiasi periodo di ‘bassa stagione’-: i prezzi saranno ben più bassi, le code saranno quantomeno dimezzate, nessun giornale nemmeno locale parlerà di “afflusso eccessivo di turisti”. Se l’ ‘overtourism’ è il dito, la luna è, ancora una volta, il mondo del lavoro e la sua organizzazione.
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