Come ogni anno, anche quest’anno, il 10 luglio, l’istituto italiano di ricerca Censis ha pubblicato il proprio rapporto avente ad oggetto l’analisi e l’elaborazione dei risultati delle Università italiane (qui consultabile Microsoft Word – Classifica Censis delle Universita Italiane 2023-2024.docx ), capace di restituire una vera e propria “classifica”, composta complessivamente di 70 graduatorie, a partire da una batteria di 948 variabili considerate, costituendo un assai utile strumento per le e per i giovani diplomate e diplomati verso le proprie scelte universitarie.
Uno strumento in sintesi e di facciata assai agile, risultato di una approfondita analisi di dati incrociati: sia sul piano della progressione di carriera degli studenti (tasso di abbandono e tasso di persistenza, soprattutto tra primo e secondo anno; tasso di iscritti regolari e di regolarità dei laureati), sia tenendo conto e del numero di iscritte e iscritti (le macro categorie sono infatti tre: fino a 10mila iscritti sono ‘piccoli atenei’, i medi vanno dai 10 ai 20mila iscritti, dai 20 ai 40mila iscritti si parla di ‘grandi atenei’, sono ‘mega atenei’ quelli capaci di attrarre più di 40mila iscritti ciascuno, mentre i Politecnici sono ancora a parte), sia ancora considerando la variabile dell’ampio numero di corsi di studio offerti (52 triennali, ben 97 specialistiche-biennali, altri 7 a ciclo unico).
D’altronde Censis svolge questo studio da 20 anni -prima edizione sull’anno accademico 2003/2004- e se quindi per un verso ciò ha comportato e un aumento dei parametri e della loro interazione reciproca e una affinazione di quest’ultima, potendosi quindi ben affidare a tanta esperienza -non foss’altro perché di classifiche se ne trovano davvero mille in giro, ma questa è davvero autorevole-; e per altro verso questa lunga attività è capace oggi di fornirci anche un quadro di prospettiva e di analisi ulteriore di inquadramento generale dello stato di salute dello studio universitario in Italia.
Nell’anno accademico 2003/2004 gli immatricolati toccavano la ragguardevole soglia di 338mila persone: da allora non è mai stata eguagliata. Dopo un consistente calo, che ha toccato il suo fondo nell’a.a. 2013/2014 con 268mila persone iscritte, vi è stata una speculare ed altrettanto significativa ripresa, al punto che nell’a.a. 2020/2021 -va ricordato che è stato il primo post-covid- si è raggiunta la cifra di 336mila iscrizioni.
Sebbene negli ultimi due a.a. vi sia stata una flessione, questa pare più leggera e di assestamento attorno ai 330mila iscritti.
Certamente il fattore Covid e conseguente lockdown -e ancora conseguente “rivoluzione” anche nella didattica, va detto ed evidenziato- ha avuto un peso e potrebbe aver comportato un cambiamento anche nell’approccio alla modalità di fruizione dell’Università, aprendo forse ancora di più ad una platea studentesca più ampia. Ma è ancora presto per saperlo e fondarlo argomentativamente: sia questo uno dei tagli dell’analisi negli anni presenti e a venire.
Ma veniamo quindi, e finalmente, ai risultati, in particolare degli atenei veneti.
L’università di Padova è certamente tra le eccellenze italiane: è da anni ormai saldamente al secondo posto tra i ‘mega atenei’ italiani, con un punteggio medio quest’anno di 87,5 (la prima, Bologna, registra 89,5). UniPd -abbreviativo classico di tutte le università, di origine informatica e ormai divenuto di largo uso, soprattutto tra studenti e professori, tra chi vive il mondo universitario- ha una storia quasi millenaria: fondata nel 1222 -quindi una delle più antiche al mondo-, per migrazione e distacco di un gruppo di studenti provenienti dalla madre delle università italiane, Bologna; dispone anche della Scuola Galileiana di Studi Superiori, nonché di strutture bibliotecarie, museali e anche botaniche di emanazione universitaria; è capace di attrarre più di 60mila iscritti ogni anno accademico.
Forse con enfasi sopra le righe -ma che qui ci si può ben concedere di citare- nel 1962 nel suo testo ‘Le origini della scienza moderna’ Sir Herbert Butterfield ebbe a dichiarare: «Ammesso che l’onore di essere stata la sede della rivoluzione scientifica possa appartenere di diritto a un singolo luogo, tale onore dovrebbe essere riconosciuto a Padova».
E d’altronde la rilevanza dell’ateneo di Padova è tale che -sebbene con parametri e criteri di valutazione non identici a quelli usati dal Censis- risulta essere la quarta migliore università italiana a livello globale: secondo l’altrettanto autorevole “QS World University Rankings 2024: Top Global Universities,” (qui consultabile QS World University Rankings 2024: Top Global Universities | Top Universities ), Padova è la 219esima al mondo su più di 1500 atenei in 104 Stati.
Ma non c’è solo Padova, eh no, eh! Andiamo a scorrere le graduatorie, sempre del Censis.
Tra i ‘grandi atenei’ (da 20 a 40mila studenti) danno buona prova di sé Venezia Ca’ Foscari e Verona. Pur classificandosi rispettivamente al 4° e al 12° posto, ottengono delle ottime medie con un punteggio rispettivamente di 89 e 84.
Tra i 4 Politecnici italiani (Milano, Torino, Bari, Venezia) lo IUAV è a fondo classifica -se così si può dire, quando si tratta per forza di cose e comunque di un podio- con un però ragguardevole risultato medio di 86,5 punti: ultimo in questa graduatoria di settore, eppure una vera eccellenza, non c’è che dire. Perché evidentemente eccellenze sono tutti i Politecnici italiani: questo studentesse e studenti lo ben sanno!
Il quadro che emerge è quindi quello di un sistema universitario capace di offrire ottime opportunità di studio di vera eccellenza alle e ai giovani d’oggi, le cui ambizioni di ‘emigrazione’ restano ad ogni modo comprensibili dati gli ottimi dati registrati per tanti poli universitari appena fuori Regione, quali Milano, con tutti suoi poli universitari, statali e non; Bologna, tra i ‘mega atenei’, Parma e Modena & Reggio Emilia, tra i ‘grandi atenei’; Trento, Udine, Trieste, Brescia e Bergamo tra i ‘medi atenei’, infine Bolzano, che però non è statale.
Certo i costi per sostenere un percorso universitario sono ragguardevoli, tra costi dei tomi di studio e del materiale di cancelleria, gli eventuali costi di mantenimento in caso di scelta fuori sede, nonché i costi vivi ordinari, e però si può ben essere soddisfatti a osservare il quadro che emerge per chi vive e sceglie di studiare in Veneto: la qualità è una garanzia nello studio universitario.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Siamo presenti anche su TELEGRAM, iscriviti al nostro gruppo per rimanere aggiornato e ricevere contenuti in esclusiva: https://t.me/settecomunionline