Ci siamo forse svegliati? Ci credevamo “tutto il mondo”, ed invece, forse, ci siamo finalmente accorti che…siamo soli.
Siamo soli nel mondo. Soli come “occidente”, che assai a lungo ci ha fatto pensare di essere maggioranza, di essere “la parte progredita” del mondo e quindi, con una forzatura logica anche piccata d’orgoglio, “la parte migliore” di questo mondo.
E invece, signori miei, non è così.
E non è eccome così.
Non lo è se si guarda alla crisi delle democrazie liberali.
Per un verso vi sono sistemi di governo avvicinabili ai regimi che vanno avanti più o meno speditamente nel loro arricchimento e nel loro ammodernamento: parliamo di Russia e soprattutto Cina.
Per altro verso vi sono sì sistemi democratici, intendendosi Stati dove si svolgono elezioni e vi è una o più camere elettive, che però vedono realizzarsi in concreto forme autocratiche di governo, e possiamo pensare a ciò che accade, per esempio tra gli altri, in Ungheria, ma anche in Brasile -si osa dire- ed anche in India, che è appena divenuto il più popoloso tra gli Stati del Mondo. Gli Stati autocratici, le autocrazie, oggi più che mai, minano fortemente il mito della seconda metà del secolo scorso delle democrazie parlamentari o comunque delle democrazie compiute. Il dato di realtà mette in scacco il valore ideale della democrazia. Altro che democrazia diretta: in quegli Stati si punta ad una forma assai ristretta e limitata di rappresentatività, eppure pare formula tutt’altro che perdente.
Come Occidente moderno e faro del progresso ci siamo forse illusi che esiste una sola forma di giustizia, così che possiamo esportarla ed imporla al mondo intero. E magari fosse così, forse sarebbe meglio, certamente sarebbe da noi più facile comprenderlo.
Proprio il 25 aprile, data per la democrazia italiana di primario valore -e non solo simbolico- il Presidente del Sudafrica ha annunciato -al cospetto di un sorpreso e perplesso Presidente della Finlandia- che il suo paese si ritira dalla Corte di Giustizia Internazionale, criticando metodi e modi con cui questa Corte opera e agisce.
Operazione ardita: si può dubitare della Corte in sé, ma uscire dalla convenzione significa di fatto non concedere la giurisdizione non solo e non tanto della Corte quanto appunto della convenzione e dei diritti ivi sanciti, ossia non riconoscere uno schema di diritti che potremmo indicare come appunto la configurazione della “democrazia occidentale”.
E che lo faccia non certo un paese di quello che una volta definivamo “del terzo mondo”, che lo faccia paese che ha pagato caro, carissimo il prezzo dell’esposizione all’odio e alle discriminazioni violentissime ed ingiuste di una sola parte quale è stato l’apartheid in Sudafrica, che lo faccia, infine, un paese che ha dato i natali a quello che forse è una delle personalità più rappresentative dell’idea di libertà e democrazia per il mondo occidentale tutto, il Premio Nobel per la Pace Nelson Mandela, devi farci fermare e interrogarci fortemente, con priorità assoluta.
La scelta del Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, uscendo dalla Corte di Giustizia Internazionale che ha sede a L’Aia, ha garantito pieno campo di azione, in libertà e sicurezza al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, su cui pende un mandato di arresto internazionale dal 17 marzo scorso, e che potrà quindi recarsi liberamente a Durban, città tra le principali del Sudafrica, per partecipare al 15esimo meeting dei Paesi BRICS (acronimo dei nomi degli Stati Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, appunto).
Va detto che, già nel 2016 l’allora Presidente sudafricano Zuma concesse l’immunità di Capo di Stato al Presidente del Sudan Omar al-Bashir, su cui pendeva simile capo d’imputazione, eppure non uscendo dalla giurisdizione della Corte dell’Aia.
E così all’insegna dei noti corsi e ricorsi della storia, Sudan e Sudafrica tornano alla ribalta della attualità: l’uno perché concede di fatto piena immunità e agibilità politica al Capo di Stato del paese oggi nemico di guerra dell’Occidente, e l’altro perché nuovo e già terreno di scontro appunto tra Occidente e Cina in suolo Africa finalmente -da intendersi come “alla fine” e non certo con slancio positivo né ottimista.
Ad aggravandum, pare sia passata troppo in sordina la pericolosa -e, sempre con le lenti della democrazia occidentale, pernicisiosa- dichiarazione dell’ambasciatore della Cina Lu Shaye in Francia: “Per quanto riguarda il diritto internazionale, anche questi Paesi dell’ex Unione Sovietica non hanno, non hanno lo status – come dire? – che sia effettivo nel diritto internazionale, perché non c’è un accordo internazionale che consolidi il loro status di Paese sovrano.”
Apriti cielo, le diplomazie ex-sovietiche oggi in larga parte europeizzate o quanto meno entro la NATO, si sono ribellate alle dichiarazioni di Shaye, che però, per quanto smentite, suonano come la chiara apposizione di una nuova soglia di scontro e conflitto tra idee di Stato e di democrazia nel mondo.
L’idea occidentale della democrazia è appunto una “idea occidentale”, e non di tutto il mondo.
L’idea di “diritto” e di “diritti” di cui siamo eredi e depositari, per quanto ce lo vogliamo, in buona fede, ripetere da secoli, ormai anche millenni, non è in alcun modo l’unica idea di “diritto” e “diritti”. Se non lo sapevamo, beh, oggi non ce lo ripete più “l’Impero del Male” coi baffoni, ma autorevoli sistemi democratici -per quanto autocratici- vengono a dircelo sulle soglie di casa nostra, sulla porta dell’Europa dell’Est, cortile di casa USA, e sul suolo ancora tutto da contendersi dell’Africa.
E noi? Che cosa rispondiamo? Come evolverà, se lo farà, la nostra idea di Stato e quindi di democrazia a queste persistenti picconate?
Ecco, vedete? “Noi Occidente”, siamo tutt’altro che “tutto il mondo”, e nemmeno “il mondo civilizzato”: al contrario siamo soli in un mondo che ha fatto pienamente del progresso e della modernizzazione a tutti i costi i propri mantra capaci oggi di mettere in dubbio il valore della “democrazia all’occidentale”.
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