In questi giorni si fa un gran parlare, ed ha ragione, per più motivi delle Commissioni Parlamentari d’Inchiesta.
Giovedì 23 marzo è stata approvata alla Camera -e dovrà ora passare al vaglio del Senato- una Commissione Bicamerale (vuol dire composta per pari numero da Deputati come da Senatori) d’Inchiesta sulla scomparsa di Mirella Gregori e Emanuela Orlandi, ed una Commissione d’Inchiesta della sola Camera sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, nonché è stata riapprovata la Commissione d’Inchiesta sulla morte di David Rossi, il responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena trovato morto il 6 marzo 2013 sotto una finestra del suo ufficio, a Siena.
Questi tre esempi nonché la più nota -quella Antimafia- ben esplicitano il ventaglio di opportunità di utilizzo di questo strumento, tutt’altro che secondario visto che è espressamente previsto in Costituzione all’articolo 82: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.
A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della Autorità giudiziaria.»
Tradotto: la Commissione ha lo stesso potere dei giudici, perciò è pubblico ufficiale quando opera, può svolgere indagini disponendo anche delle forze dell’ordine ed opporvisi, intralciarla o anche solo mentire di fronte ad essa è come mentire di fronte ad un giudice, ossia è commettere un reato.
La Commissione d’Inchiesta, che può essere di una sola Camera come di entrambe assieme ed è allora “Bicamerale”, ha quindi poteri ispettivi, conoscitivi e di indagine, su materie di interesse pubblico. Cosa sia questo “interesse pubblico” è più difficile dirlo in maniera circoscritta.
Come dicevamo, i primi casi indicati e di cronaca di questi giorni ci aiutano a comprendere.
La Commissione Antimafia è giocoforza ormai divenuta una necessità, una cosa che ci si aspetta che ci sia, tanto che non di rado è stata ed è una delle nomine computate nella distribuzione degli incarichi nella Maggioranza di Governo, istituita per la prima volta già nella III Legislatura (1958-1963) e poi sempre in ogni Legislatura a partire dalla X (1987-1992).
Affiancata per così dire ad essa è quella Sul ciclo dei rifiuti e sull’attività illecita ad esso ricorrente a partire dalla XII Legislatura (1994-1996).
Sono questi esempi di indagine davvero paragiudiziaria, di rilevanza nazionale ed emergenziale pare per una volta appropriato dire.
La Commissione “per il degrado delle città e delle periferie”, con spirito analitico critico, visto anche che ne è stata presentata richiesta di istituzione da parte di ciascuna forza politica, risponde ad una esigenza politica trasversale, più di studio e ricerca, analisi e raccolta di dati e informazioni, per quanto si osa dire, che indagine propriamente intesa.
Per citare altri casi simili: nella I Legislatura (1948-1953) ci furono quella sulla miseria e quella sulla disoccupazione, nella II Legislatura (1953-1958) sulla condizione dei lavoratori, nella X Legislatura (1987-1992) sulla condizione e giovanile e “sulla dignità e condizione sociale dell’anziano”, andando poi scemando per riemergere quindi oggi.
La Commissione “per la scomparsa di Emanuela Orlandi”, a prima firma Partito Democratico, sembra voler raccogliere il rinnovato interesse e clamore mediatico sorto, ancora una volta dal 1983 ad oggi, suscitato più recentemente dall’uscita sulla piattaforma video on demand Netflix del documentario “Vatican Girl” lo scorso ottobre.
La Commissione sulla morte di David Rossi -già istituita nella scorsa XVIII Legislatura (2018-2022)- ha un carattere certamente di indagine, e però non si può evidenziarne anche un elemento per così dire di malizia o forse meglio scaltrezza politica. Proposta presentata da Fratelli d’Italia, può essere valido e legittimo strumento per indagare anche dentro alcune dinamiche operative del Monte dei Paschi di Siena, baluardo del potere della sinistra nel Paese nei decenni passati.
E a questo filone di indagine sono ascrivibili anche altre iniziative nel corso dei decenni della Repubblica: la Commissione sul “Piano Solo” nella V Legislatura (1968-1972), quelle sul “Caso Sindona” e “sulla Loggia P2” nella VIII Legislatura (1979-1983), l’unica della IX (1982-1987) sui “fondi neri” dell’IRI, così come sull’ “affare Telekom Serbia” e “sul dossier Mitrokhin” nella XIV Legislatura (2001-2006), e infine proprio la scorsa XVIII Legislatura (2018-2022) su due casi dal grande clamore mediatico: “Sui fatti accaduti presso la comunità “Il Forteto”” e quella “Sulle attività connesse alle comunità di tipo famigliare che accolgono minori” da leggersi volgarmente “su Bibbiano”.
E’ stata già depositata una proposta per una rinnovazione di Commissione d’Inchiesta per il disastro del traghetto Moby Prince (10 aprile 1991), Commissione appunto già attiva nella XVII Legislatura (2013-2018).
Ricorrenti sono state anche altre due Commissioni d’InchiestaL, di carattere sia propriamente di indagine sia dal connotato fortemente politico: la Commissione di inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro istituita nella VIII (1979-1983) e nella XVII (2013-2018) Legislatura, e quella sul terrorismo e sulle stragi istituita nella X (1987-1992), XI (1992-1994), XII (1994-1996) e XIII (1996-2001) Legislatura.
Ma alla prova dei fatti, alla fine, a che servono? O meglio servono queste Commissioni d’Inchiesta?
Posto che forse la domanda sul fatto che servano o l’interrogativo critico su quale sia il fine di istituirne una andrebbe posto al momento della sua votazione e non in corso o al termine, la risposta è “sì, certamente, se utilizzato come prescritto dalla legge”.
Se è infatti vero che la forchetta resta pur sempre un’ottima posata, sebbene sia inutile quando usata per raccogliere dal piatto la minestra, così non c’è da stupirsi o lamentarsi se una Commissione d’Inchiesta è un buco nell’acqua quando non trova…ciò per cui si era pensato di istituirla.
In altre parole, non si può pensare di istituire una Commissione d’Inchiesta avendone già deciso le conclusioni e il contenuto della relazione finale al momento della sua istituzione. Ca va sans dire, verrebbe da dire, eppure non pare questo aspetto sia poi così chiaro -o, rectius, lo si voglia rendere così chiaro-.
Giusto in questi giorni, il 28 marzo scorso, alla Camera sono state rese note ed ufficiali le conclusioni della Comissione Antimafia rispetto al caso dell’omicidio del “Sindaco pescatore” di Pollica, Angelo Vassallo, avvenuto il 6 settembre 2010. Questo è certamente un buon esempio di utilizzo della Commissione d’Inchiesta Parlamentare, dando visibilità ad un corpo di indagini certamente giudiziarie, eppure anche a valenza politica, nonché di valore simbolico alto ed encomiabile.
Similmente si potrebbe dire riguardo alla relazione conclusiva della seconda Commissione d’Inchiesta sul “Caso Moro” (2013-2018): leggendola si può ricostruire non tanto quanto è successo -l’operazione ricostruttiva, anche nell’ambito processuale, a così tanti anni di distanza è opera miracolosa!-, quanto invece non è successo! E che cambia, direte voi: cambia eccome! Se diciamo “caso Moro”, quanti pensano alla famigerata “seduta spiritica” in cui uscì la parola “Gradoli”?! Ecco, la Commissione ha acclarato che quella fu una bufala. Basta questo elemento per stuzzicare la curiosità?
Il vero peccato, in questo come in altri casi, è che della relazione finale ce ne si cura troppo poco e su troppo poche pagine dell’informazione.
L’auspicio è che la Commisione d’Inchiesta venga ben utilizzata come strumento al servizio della trasparenza e della accessibilità per il popolo alle più importanti vicende del Paese. Per questo è stata pensata e per questo va utilizzata.
Ah, an passant in questa attuale XIX Legislatura nessuna Commissione Parlamentare Bicamerale d’Inchiesta è stata ancora istituita. Ora quindi saremo in qualcuno di più, si spera, ad attendere incuriositi quali saranno le proposte approvate di qui ai primi prossimi mesi.
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