Le due leader dei due principali partiti italiani sono donne: Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia (stimato stabilmente al 30% dei consensi nei sondaggi) ed Elly Schlein del Partito Democratico (tornato stabilmente al 20% dei consensi nei sondaggi da dopo l’elezione di Schlein a Segretaria.
Ma per il resto, in Italia quale è la situazione?
Solo una donna, Donatella Tesei (Lega) è Presidente di Regione: 1 su 20 è un po’ poco, proprio come dato statistico.
E nemmeno dai nomi dei candidati nelle Regioni al voto in questo 2023 esce un segno di cambiamento.
Si sono già svolte le elezioni in Lombardia e Lazio (12 e 13 febbraio scorso), si svolgono questo weeeken (2-3 aprile) in Friuli-Venezia Giulia, sarà poi la volta del Molise il 25-26 giugno e della Provincia di Trento (quindi un cambio è probabile in Trentino-Alto Adige) i 22 ottobre.
Se in Lombardia era candidata Letizia Moratti per il Terzo Polo, in Lazio c’era Donatella Bianchi per il Movimento 5 Stelle: entrambe con poche chances di vincere davvero, mentre le coalizioni principali contrapposte non hanno mai fatto emergere il nome di una donna.
In Friuli-Venezia Giulia non ci sono proprio donne candidate dai principali schieramenti.
Per la verità e in totale controtendenza, in tutte e tre le Regioni citate i partiti o le coalizioni minoritarie di sinistra (Unione Popolare, PCI, Insieme Liberi) hanno invece presentato una donna come candidata alla Presidenza, diamogliene doveroso atto.
E così al tavolo della Conferenza Stato-Regioni siederanno sempre e solo due donne: Giorgia Meloni e Donatella Tesei.
Sarebbe invece da credere che maggiore sia la rappresentanza femminile almeno tra le fila dei Consigli Regionali del Belpaese, ma purtroppo così non è, come un recente ricerca di Openpolis, fondazione indipendente, senza scopo di lucro, col focus sull’accesso alle informazioni pubbliche, la trasparenza della politica e la reale attuazione della partecipazione democratica alle scelte politiche.
Eppure le leggi elettorali, differenti da Regione a Regione, hanno un elemento di comunanza nell’indicare, per dirla semplice, che il genere prevalente delle candidature non può eccedere il 60% dei posti per lista. Tradotto: almeno il 40% delle persone candidate in ogni lista alle elezioni regionali deve essere donna.
Questo è certamente un elemento importante, conquistato a fatica e solo di recente: le leggi di attuazione e imposizione del criterio -declinato anche a seconda del sistema elettorale- sono del 2004, del 2012 e del 2016. Ma appunto appare non sufficiente, come emerge dai dati raccolti da Openpolis di cui ora diamo triste conto.
Negli ultimi 10 anni, simbolicamente, dal 2014 ad oggi, c’è stato sì un aumento della presenza di donne nei Consigli Regionali: si è passati dal 15,38% al 23,55%. Eppure, tenendo conto della regola della soglia minima di candidature pari al 40%, possiamo ben rilevare che il dato sia abbastanza sconfortante. Ma sia chiaro: siamo tutte e tutti noi, cittadine e cittadini, elettrici ed elettori a decretare chi viene eletto e chi no, quindi piangiamo sulle nostre stesse preferenze, letteralmente.
Scavando ancor più nel dettaglio, Regione per Regione, solo in una, l’Emilia-Romagna, quel 40% è raggiunto, proprio a margine, seguita da Lazio (39,22%), Umbria (38,1%), Veneto (35,9%) e Toscana (31,71%), stando quindi già la sesta Regione sotto la soglia psicologica del 30%.
Solo pari all’8,57% e al 9,52% le donne che siedono nei Consigli Regionali rispettivamente di Valle d’Aosta, fanalino di coda, e Basilicata, penultima ma con ben poco onore.
Eppure ricordiamoci che le donne numericamente sono maggioranza nel Paese: vivono oggi in Italia 59,5 milioni di persone, di cui quasi 29 milioni di uomini e quasi 31 milioni di donne, da cui consegue che la rappresentazione istituzionale non ha quindi corrispondenza con il Paese, quantomeno dalla prospettiva del genere.
Due sono le donne alla guida dei Consigli Regionali: Loredana Capone (da un mese VicePresidente dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico) in Puglia e Emma Petitti (Partito Democratico) in Emilia-Romagna.
Se il trend nei Consigli Regionali, per quanto non soddisfacente, è in crescita, nello stesso periodo, cioè negli ultimi 10 anni, a livello di Giunte Regionali si registra invece una diminuzione di Assessore Regionali: dal 32,5% del 2014 (avendo toccato il 34,3% nel 2015), siamo oggi al 26,6% (dopo ave toccato il 24,8% nel 2020). Massimo e minimo storico di questo periodo hanno un gap di quasi 10 punti percentuali, e non in senso della crescita.
Focalizzando lo sguardo Regione per Regione osserviamo che in Toscana è donna il 45,45% della Giunta Regionale, in Lazio il 44,44%, in Umbria e Veneto il 33,33%, e già è il 30% o poco più in Sicilia, Sardegna e (ora, prima delle elezioni del 2-3 aprile 2023) Friuli-Venezia Giulia.
Solo il 12,5% le donne in Giunta Regionale in Liguria, ultima della classifica.
Resta da indicare il dato delle VicePresidenti di Regione, che sono 5 in tutta Italia: Roberta Angelilli (Fratelli d’Italia) in Lazio, Giuseppina Princi (Forza Italia) in Calabria, Stefania Saccardi (Italia Viva) in Toscana, Irene Priolo (PD) in Emilia-Romagna (dove ha sostituito a ottobre scorso Elly Schlein) ed Elisa De Berti (Lega) in Veneto.
Tutto sommato il Veneto non ne esce poi messo così male, poiché riassumendo le donne sono pari al 35,29% del Consiglio Regionale e al 33,33% della Giunta Regionale, ricoprendo una donna anche la carica di Vice Presidente della Regione.
Meglio si può e deve fare, partendo da un risultato positivo poiché decisamente sopra la media italiana di quasi 10 punti percentuali.
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