“Il calcio deve stare fuori dalla politica” o “la politica deve stare fuori dal calcio”: ma chi ci crede oggi? Ma chi ci ha mai creduto?!
L’ingenuità in età adulta è forse una colpa in generale, certamente lo è in chi, appassionato anche minimamente, di calcio continua a crederci superati i 15 anni, o forse anche prima. È sufficiente entrare in uno stadio qualsiasi, fosse anche di provincia, per percepire a pelle che il tifo è anche qualcosa di mischiato indissolubilmente con la cultura e il contesto dove vive e da quella cultura e quel contesto trae parte della propria linfa vitale.
E’ uscito giusto appena in tempo per l’inizio dei Mondiali di calcio in Qatar il libro del giornalista genovese Giovanni Mari “Mondiali senza gloria” edito da People, che ripercorre le due edizioni italiane dei Mondiali di calcio del 1934 e del 1938, vinte dall’Italia non senza azioni del tutto poco regolamentari quando non proprio illecite, certamente moralmente esecrabili.
Il Mondiale, quelle due edizioni, furono chiaramente anche strumento di azione politica nazionale ed internazionale del duce Mussolini, intento a dare lustro alla propria immagine. In realtà le azioni di cui si macchiò il regime non consentono ancora oggi di dire che quelle due vittorie siano senza macchia, anzi.
Da allora ne parrebbe scorsa di acqua sotto i ponti, ed invece ancora, beh, cosa ci restituisce la storia recente? Nel 2018 i Mondiali di calcio in Russia e in questo dicembre 2022 in Qatar. Pare fin superfluo ricordare quanto entrambi i Paesi siano alla ricerca di una nuova immagine per sé nel campo internazionale. Ed infatti come stupirsi degli scandali con finalità di infiltrazione e di mutamento forzoso dell’opinione pubblica ed istituzionale nei loro confronti?!
Qualche motivazione anche geopolitica la hanno certamente avuta le Olimpiadi a Pechino del 2016, così come quelle del “botta e risposta” tra Russia (Mosca 1980) e Stati Uniti (Los Angeles 1984) con la reciproca rinuncia alla partecipazione.
Mosse più da un intento dimostrativo del proprio -come dice il motto nazionale “ordine e- progresso -”- raggiunto sono le edizioni in stretta successione dei Mondiali di Calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016 in Brasile. In rapida successione sono state anche le edizioni di Olimpiadi (2014, Sochi) e Mondiali di calcio (2018) in Russia, ma con intento maggiormente di rifarsi una immagine a livello internazionale, pare non un azzardo affermarlo.
Purtroppo la prova che “giustizia non c’è” nemmeno nel mondo del pallone è che si sia svolta una sola edizione di un Mondiale di calcio in Africa, mentre ormai è fin quasi divenuta una notizia non eclatante, una non-notizia, l’exploit di turno della nazionale africana del momento.
Peraltro anche dire “nazionale africana” restituisce una lettura davvero opaca, generica e sminuente dell’intero continente e di tutte le singole nazioni. Chi mai parlando dell’Italia o della Germania o della Francia o della Spagna direbbe “la squadra europea”: alle orecchi di chiunque risulterebbe vago, quando non ridicolo. Ma tant’è…E così pare comunque e a maggior ragione lecito richiedere a viva voce l’organizzazione di un altro Mondiale di calcio in Africa.
La prossima edizione, quella del 2026, -contrariamente a quella “a portata di scooter” appena conclusasi in Qatar dove gli stadi stavano al massimo a una sessantina di chilometri gli uni dagli altri- si terrà in una area addirittura sub-continentale: ad ospitarla saranno uniti assieme Canada, Stati Uniti e Messico. E così il Messico sarà il primo paese al mondo ad ospitarli (in parte, questa volta) per la terza volta, dopo le edizioni del 1970 e del 1986. Sarà anche la prima volta in cui al torneo parteciperanno ben 48 squadre (dalle 32 attuali), implicando un aumento di durata della competizioni, che si attesterà sui due mesi (dal 5 maggio al 5 luglio 2026).
Resta però ancora e molto da sperare nella edizione del 2030. Dal 2018 vige una regola ben giusta: non si può svolgere entro dodici anni, cioè tre edizioni, un Mondiale in uno Stato membro della medesima confederazione calcistica continentale: saranno quindi escluse Asia e Nord America, mentre l’Europa avrebbe appena riguadagnato il titolo per farlo.
Neanche a dirlo, il più papabile tra i candidati del continente africano sarebbe la rivelazione di questo Mondiale in Qatar: il Marocco, che nel 2018 perse l’assegnazione dell’edizione del 2026 per un nulla, collezionando il quinto “no” (già per le edizioni 1994, 1998 2006 e 2010), ma ha già dichiarato che correrà di nuovo per l’edizione appunto del 2030.
Dopo le edizioni del 2002 (Corea del Sud e Giappone) e del 2026 (Canada, USA e Messico) dei Mondiali e anche l’edizione continentale dell’Europeo 2020 (questo la denominazione corretta come stabilito dalla UEFA, sebbene poi svoltosi nel 2021 causa pandemia da Covid-19), potrebbe divenire prassi comune e scelta strategicamente saggia il proporsi non come Stato singolo ma in tandem o in terzetto con altri, più spesso limitrofi, e così per il Marocco paiono muoversi occhi e non solo verso una possibile collaborazione con Algeria e/o Tunisia.
Per completare il quadro, pur rimanendo al solo scenario africano, anche Egitto, Zimbabwe e Camerun, separatamente, hanno manifestato un certo interesse a ospitare una edizione del Mondiale di calcio nel proprio territorio. Egitto e Zimbabwe hanno manifestato interesse più per l’edizione del 2034:
È innegabile la potenza del calcio, la sua capacità di muovere e smuovere interessi e attenzioni: per più di un mese, almeno da settembre ad oggi, le attenzioni internazionali si sono focalizzate sul Qatar, stato di cui l’opinione comune fino ad agosto ignorava non solo la posizione geografica ma probabilmente anche la correttezza digitazione, mentre oggi potremmo tutti dilettarci in un dibattito tv sui diritti, sulla manodopera, sui principali interessi del Paese del Medio Oriente.
Prima durante e dopo una edizione di un Mondiale di calcio, il Paese ospitante acquisce una sorta di diritto di entrare nella storia, almeno quella comune e popolare di un po’ tutto il mondo, almeno quello del calcio, che oltre certamente a muovere interessi e denari, muove orecchie, teste e pensieri in tutto il mondo.
Provate a dire “Corea del Sud” ad un italiano medio: giustamente vi dirà qualcosa tipo “maledetto Bairomoreno”. Così eh, tutto attaccato. Perché quell’ingiustizia così manifesta subita resterà nella mente e nel cuore di tantissimi di noi.
Ecco allora che lo svolgimento di una edizione della Coppa del Mondo è evidentemente una occasione anche politica, anche geopolitica, anche di focus mondiale su quel Paese, su ciò che accade, una sorta di forzosa eppure gradita conoscenza e presa di coscienza -magari generica e superficiale, eppure ben più ampia della tabula rasa in partenza- su quel Paese, sulla sua storia e sul proprio presente e futuro. Lo svolgimento di un Mondiale di calcio in un Paese del continente africano sarebbe portatore di meriti ben oltre quelli limitatamente ascrivibili al recinto sportivo calcistico.
D’altronde fu anche così nel 2010 con l’unica edizione africana di un Mondiale: quella in Sudafrica. Ce lo si ricordava ancora come solo la terra dell’apartheid e di Nelson Mandela… una rispolverata di quella pagina della storia è stata ovviamente d’obbligo, non potendo però celare o dimenticare tutto ciò che dai primi anni ’90 ad oggi è successivamente accaduto.
E poi, come gergo calcistico impone: se lo sono guadagnato o no sul campo il diritto di ospitarlo?! Eccome che sì, urliamolo a gran voce!
Ripercorriamo velocemente i successi “africani” -abbiate pazienza, generalisticheggiando- ai Mondiali di calcio.
Nessuna nazionale di calcio africana è mai arrivata in finale, ma a questa edizione il Marocco ha sfiorato l’impresa ed è arrivata -prima sì, in questo caso, nazionale africana- alla semifinale nella sfida con la Croazia, persa ma centrando un risultato già suggellato dalla storia.
Non sono tante le volte ai Mondiali delle nazionali africane, e forse anche per questo destarono tutte e ciascuna grande scalpore. In anni più recenti però più che rimanere davvero sorpresi, siamo un po’ tutti a chiederci già dall’inizio quale sarà la nazionale africana rivelazione dell’edizione che ha da principiare.
Nel 1934 fu l’Egitto la prima nazionale africana a sbarcare agli ottavi di finale, nell’edizione italiana, che però vedeva nei quarti proprio il primo turno del Mondiale.
La seconda volta fu a Messico ’86, e fu il Marocco, fermatosi di nuovo agli ottavi di finale.
Con quella edizione si aprì una fortunata stagione che continua tutt’oggi -ed allora forse, appunto, non si tratta più di una stagione o di “una sopresa”, ma di “una regola”: ciò legittima o no ancora di più una edizione in Africa?! Eccome che sì!-.
Infatti ad Italia ’90 fu il Camerun (che fece innamorare tutti) ad arrivare addirittura ai quarti di finale.
Nell’edizione di USA ’94 proprio gli italiani più di tutti debbono ricordarsi la rivelazione Nigeria: arrivata al mondiale al quinto posto -quinto! Sic!- nel ranking mondiale, vinse il proprio girone di qualificazione davanti all’Argentina di Maradona, e venne fermata solo dal risvegliatosi Divin Codino (il nostro Roberto Baggio, l’uomo del Mondiale di USA ’94).
Ed è ancora la Nigeria a fermarsi agli ottavi di finale a Francia ’98; mentre nel 2002 è il Senegal a sorprendere tutti ed arrivare fino ai quarti.
Nel 2006 e nel 2010 è il momento d’oro del Ghana: lo sappiamo bene noi italiani che nella fase a gironi del Mondiale poi vinto a Berlino abbiamo pareggiato nello scontro diretto e ne siamo arrivati dietro, e a cui forse dovemmo qualche “grazie” visto che il suo primo posto la fece fermare agli ottavi dal Brasile con un secco 3-0; mentre in Sudafrica arriva ai quarti, e per un soffio -un rigore sbagliato- non c’entra la semifinale.
Nell’edizione del 2014 in Brasile un altro traguardo storico: ben due sono le nazionali africane che approdano agli ottavi: Nigeria e Algeria, quest’ultima rivelatasi avversaria arcigna per la Germania che poi volerà a vincere l’edizione.
L’edizione del 2018, per la prima volta dopo più di 30 anni non vide approdare nessuna squadra africana agli ottavi di finale: fu questa la vera sorpresa!
Dell’edizione del 2022 sappiamo tutto, no? Anche questa volta due nazionali africane approdano agli ottavi di finale (Senegal e Marocco), di cui una, l’ormai storica compagine marocchina, giunge non solo ai quarti ma perfino alla semifinale: è gloria! E lo abbiamo visto nelle strade e nelle piazze di tante città italiane. E non solo: è anche la prima volta per un commissario tecnico africano di approdare ai quarti di finale, nonché la prima volta che, finalmente, tutti i c.t. delle selezioni sono originari di quel medesimo Paese: è il segno dell’affrancamento conquistato a pieno titolo anche sul campo. Non ci sono più scuse.
“This time for Africa” intonava la hit mondiale “Waka waka” di Shakira, colonna sonora ufficiale dei Mondiali in Sudafrica del 2010. Che la profezia si realizzi infine.
C’è però ancora un poco da attendere: la FIFA vaglierà le candidature ed arriverà ad una propria votazione nel 2024. E non si può non ricordare ed evidenziare che l’edizione del 2030 sarà l’edizione del Centenario: i Mondiali di calcio si tennero per la prima volta nella storia nel 1930 in Uruguay, ed infatti forse a far più “paura” di tutte è la candidatura unita – “Juntos 2030” è lo slogan, significativo e dalla forte valenza anche politica, come negarlo?!- di Uruguay e Argentina, più forte che mai: sarebbe un ritorno lì dove tutto è cominciato e in casa della fresca vincitrice del più recente mondiale al momento della assegnazione.
A riprova che il calcio non è solo un gioco, le tensioni e i dilemmi nelle menti di chi è giunto sino alla fine dell’articolo: meglio una buona e sana dose di nostalgia e saudade sudamericana o un tocco di novità e soffio dello spirito del tempo africano?!
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