Il centrodestra ha indubitabilmente vinto le elezioni politiche del 25 settembre scorso, ma andiamo a vedere come questo successo si traduca in numeri alla Camera ed al Senato, poiché non c’è voto che elettorale che tenga quando c’è da approvare una nuova (o una modifica ad una vecchia) legge: conta avere in quel momento i numeri sufficienti in ciascuna camera parlamentare.
Il centrodestra nel complesso ha ottenuto circa il 44% alle elezioni, che si traduce, per effetto della legge elettorale e della ripartizione dei seggi, in una maggioranza del 59% dei seggi alla Camera (237 seggi su 400) e in una maggioranza del 56% dei seggi al Senato (116 seggi su 200, o, pardon, 206 considerando anche i senatori a vita). Questo è già un fatto, da registrare, poiché era dalle elezioni politiche del 2008 che una coalizione presentatasi alle urne non prendeva da sola la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.
Nel dettaglio, dei 237 seggi alla Camera: 118 sono andati a Fratelli d’Italia -nettamente il primo gruppo parlamentare ad inizio Legislatura-, 66 alla Lega, 44 a Forza Italia e 9 a “Noi Moderati-MAIE”. Quest’ultima componente ha potuto costituire un proprio gruppo parlamentare solo il 27 ottobre, con autorizzazione della Presidenza, dato che il Regolamento della Camera non è ancora stato adeguato -ma a ciò si dovrà provvedere quanto prima!- alla riforma costituzionale seguita al referendum costituzionale del settembre 2020 sul taglio dei parlamentari, ovvero prevede ancora sia 20 il numero minimo di deputati (pari oggi al 5% dell’Aula, mentre era circa il 3% dei precedenti 630 membri) necessari per costituire un gruppo.
Dei 116 seggi al Senato: 63 a FdI -anche qui, copia-incolla, primo gruppo-, 29 alla Lega, 18 a FI e 6 al gruppo di “Civici d’Italia-Noi Moderati-MAIE”.
Nota a margine: sia alla Camera sia al Senato nel gruppo Noi Moderati-MAIE sono confluiti più deputati e senatori eletti il 25 settembre con Fratelli d’Italia: si tratta in tutti i casi di scelte di opportunità, chi opportunità personale, chi strategica per costituire il Gruppo. [Se ne dà notizia più dettagliata in altro articolo.]
Risulterebbe quindi chiaro e lampante quanto i numeri siano rassicurantemente dalla parte della maggioranza di governo per ogni provvedimento legislativo ordinario che arrivi in aula.
Invece potrebbe divenire più complicato per la maggioranza avere, soprattutto al Senato, affermazioni schiaccianti in aula, pur non dovendosi temere il cappotto, essendo i Senatori delle opposizioni nel complesso 90 includendo anche i senatori a vita (peraltro 2, cioè Mario Monti ed Elena Cattaneo si sono astenuti e gli altri 4 erano assenti al voto di fiducia iniziale del Governo Meloni: Liliana Segre, Giorgio Napolitano, Carlo Rubbia e Renzo Piano).
Sono infatti 20 i senatori anche membri del Governo Meloni, e, come accade ordinariamente -e comprensibilmente, fanno un altro lavoro- in ogni governo, è probabile prevedere molti di loro risulteranno assenti per la maggior parte delle votazioni nelle aule parlamentari. Ove fossero tutti assenti e le opposizioni (compresi i Senatori a vita e questi fossero contrari) tutte presenti, lo scarto tra maggioranza e opposizione sarebbe solo di 4 voti (94 a 90) ed eppur sufficiente per ogni approvazione legislativa ordinaria (la maggioranza assoluta dei votanti).
Sono invece 25 i deputati anche membri del Governo Meloni, e però lo scarto con i deputati di minoranza è ancora maggiore, essendo questi nel complesso 163, cioè 74 in meno di quelli di maggioranza.
Si ricorda poi che i Presidenti dell’Assemblea, al Senato come alla Camera, per prassi non partecipano mai al voto, nel rispetto del proprio ruolo terzo, il che equivale sempre ad un voto in meno per la maggioranza parlamentare del momento, qualora ad essa il Presidente sia omogeneo.
Altra soglia esiziale per alcune forme di votazioni è la maggioranza qualificata dei 2/3 delle camere, ossia quella necessaria per approvare riforme della Costituzione da parte della sola maggioranza, secondo l’articolo 138 della Costituzione (due votazioni sul medesimo testo in entrambe le camere ad un intervallo tra loro di almeno tre mesi).
Alla Camera questa soglia è 267 e al Senato -per forza di cose la metà, per eccesso- è 134 voti, mancandone alla sola maggioranza in entrambe le camere un numero ragguardevole.
In tal senso però Matteo Renzi ha già aperto a possibili modifiche della Costituzione verso forme di Presidenzialismo: chi vivrà vedrà, anche perché a sfidarsi saranno i maghi supremi dei numeri parlamentari, cioè Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, che non di rado hanno saputo cambiare i destini propri e quelli delle compagini di governo col proprio lavoro di “sottobosco parlamentare”.
Infine, ultime soglie tecnicamente rilevanti sebbene politicamente meno di primo impatto sono quelle che consentono l’elezioni dei giudici della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).
Le leggi prevedono per i giudici della Corte Costituzionale prima la maggioranza dei 2/3 dei voti, che abbiamo visto non esserci, e poi dalla terza votazione quella dei 3/5, più bassa ma che di poco non è agguantata: 360 voti (si vota a camere unite cioè a Parlamento in seduta comune) disponendo la maggioranza di 353 parlamentari.
Forse qualche chance maggiore si potrebbe configurare per l’elezione dei membri del CSM di spettanza al Parlamento: parliamo dei 3/5 dei componenti per i primi due scrutini, cui seguirebbe dal terzo il quorum ai 3/5 dei votanti, vale a dire che sta in mano più all’attenzione delle opposizioni a presenziare l’Aula.
In entrambi i casi quindi pare l’unica soluzione sarà -come è sempre stato d’altronde, non avendo mai raggiunto una maggioranza quale che fosse in autonomia tali soglie- trovare un accordo tra forze di maggioranza e almeno alcune forze di opposizione.
Oppure, scenario da appassionati di “mosse del cavallo”, trovare un accordo tra tutte le opposizioni e alcuni pezzi della maggioranza.
Quali che siano i numeri in Parlamento, i più appassionati già sanno e pregustano coup de theatre e plot twist che questa XIX Legislatura certamente saprà dare.
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