“Sovranità Alimentare” è locuzione parte della nuova denominazione di uno dei Ministeri del Governo Meloni: “Agricoltura e sovranità alimentare”. Non appena sentita per la prima volta, durante la lettura della lista dei ministri al Quirinale, la particolare scelta di parole ovviamente -effetto prevedibile e perciò probabilmente desiderato- ha riscosso una attenzione amplissima ed un florilegio di commenti, analisi, dibattiti. Ecco allora perché pare utile almeno provare a fare ordine.
La scelta lessicale di denominazione è chiara e ormai incisa sulla pietra: “Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare”, sebbene sul sito del Governo Italiano risulti la più neutra dizione “Ministro per le Politiche agricole alimentari e forestali”.
Il neo-Ministro, Francesco Lollobrigida, ha rilasciato questa sua prima dichiarazione: “Il nome non è inedito, lo hanno anche in Francia dove hanno difeso meglio i loro prodotti. Riteniamo che sia completamente in linea con la vocazione che avremo in questa fase: difendere i nostri prodotti”.
Ora, partiamo proprio da questa prima dichiarazione del Ministro stesso che, al contrario di altri membri della compagine di governo, dato lo stretto ed ottimo rapporto con Giorgia Meloni, ha certamente piena contezza se non diretta influenza quanto alla scelta linguistica operata.
Punto primo.
E’ vero, innegabile, provato dagli atti che anche nella Francia a guida Emmanuel Macron -non certo uomo di destra quanto Meloni ma nemmeno di sinistra, va ricordato- la denominazione ministeriale adottata è in questi termini lessicali: “Souveraneité alimentaire”. Non un novum quindi: fa strano che la prima dichiarazione, invece di essere “all’attacco”, nel senso di cavalcare un cambio di rotto e di indirizzo politico, sia piuttosto “in difesa”, come a dire “eh, ma anche loro hanno fatto così, eh, perché ve la prendete solo con noi?”. Forse una scelta comunicativa rivedibile.
Ad addendum al neo Ministro però pensate che anche in Canada era già arrivata l’eco della sovranità alimentare: il governo del Quebec nel 2013 ha messo per iscritto che la sovranità alimentare ha l’obiettivo di mettere al centro non la massimizzazione del profitto economico ma la soddisfazione delle esigenze alimentari delle persone, nonché incoraggiare lo sviluppo delle realtà locali ed eliminare gli sprechi.
Un passo indietro.
Al netto di ciò, sia della non novità della nomenclatura sia della scelta difensiva, cosa è questa “sovranità alimentare”?! Spoiler: non ha nulla a che fare con il sovranismo in salsa meloniana. “Doh!” si dovrebbe levare al cielo!
La sovranità alimentare è un concetto, quasi una ideologia, sorto a cavallo degli anni 90, allorquando la produzione agroalimentare aveva ormai già divorato e saccheggiato produzioni locali e territori ove queste avevano sede. Una sorta di movimento dal basso di rivolta rispetto alle grandi industrie che dove vanno comprano, sfruttano e maltrattano persone e ambiente.
Suona barricadera? Leggete qua.
Nell’aprile del 1996 si tenne il summit mondiale di Via Campesina, in Messico a Tlaxcala, cui seguì una riproposizione durante il Forum parallelo al World Food Summit della FAO (Food and Agricolture Organization) a Roma (sede della FAO) a novembre dello stesso anno.
Un momento: la coalizione di Via Campesina è la confluenza unitaria, dopo anni di battaglie più o meno in solitario e dispersi per diverse aree del pianeta, di 182 organizzazioni di contadini -lo si evidenzia e ripete: contadini!- di 81 Paesi, allora contro la WHO (World Healt Organization), oggi la FAO, ovvero le Nazioni Unite con i propri dipartimenti addetti a Salute e Agricoltura e Alimentazione.
Quali i principi propugnati? “Il diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra che siano appropriate sul piano ecologico, sociale, economico e culturale alla loro realtà unica. Esso comprende il vero diritto al cibo e a produrre cibo, il che significa che tutti hanno il diritto a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato, alle risorse per produrlo e alla capacità di mantenere se stessi e le loro società”: questo è stato messo per iscritto nel 1996 dalla coalizione di Via Campesina.
Nel 2007, riprendendo quel testo, nella Dichiarazione di Nyéléni (villaggio nel comune di Sélingué, Mali, un contesto certamente rurale) a conclusione del Forum sulla Sovranità Alimentare ivi tenutosi, si affermò:“la sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo”.
In sintesi potremmo dire una politica che mira a economie alimentari su base locale, sostenibili, in armonia con gli ecosistemi cioè sia le persone sia l’ambiente.
Possiamo che queste idee sono un poco in contrasto con le politiche solitamente e in parte per forza di cose adottate dalle grandi industrie alimentari multinazionali?
La sovranità alimentare, nel senso autentico e definito da quelle organizzazioni di contadini, teorizza un modello di gestione delle risorse alimentari con al centro sia le persone che direttamente lavorano la terra e le colture, sia la terra e le colture stesse oggetto del lavoro, ovvero il rispetto dell’intero sistema di produzione alimentare, siano le persone che lavorano siano gli elementi naturali. La sovranità alimentare quindi incoraggia le economie alimentari locali, non per forza ma certo anche la riduzione delle distanze produttori-consumatori (ed infatti vide per non breve periodo la adesione alle sue teorie di Carlin Petrini e la sua Slow Food), avversa lo spreco di cibo e la dipendenza da luoghi lontani di produzione nonché produzioni fuori stagione. Potremmo quindi dire che la sovranità alimentare propugna la restituzione della sovranità, appunto, ai contadini, alle persone che lavorano la terra, che ne hanno il controllo, sia nella produzione che nella distribuzione ed anche poi nel consumo, togliendo tutto ciò dalle grandi aziende multinazionali che invece da questo traggono il proprio profitto, spesso ignorando se non devastando l’ecosistema dove si insediano o da cui traggono sostentamento.
La sovranità alimentare ha ovviamente un suo avverso contrapposto: la “sicurezza alimentare”, che è invece il faro e l’orizzonte ideale del neocapitalismo, poiché non preoccupandosi di provenienza né metodi di produzione del cibo, ha come obiettivo la garanzia della disponibilità, dell’accesso, dell’utilizzo del cibo e della -conseguenza perseguibile e presupposto intangibile e necessario- stabilità di questi tre elementi nel tempo, ecco appunto perché “sicurezza”. Mettendo quindi al bando la “sovranità” degli ecosistemi di produzione alimentare.
Ma quindi domattina il Governo Meloni, nella persona del Ministro Lollobrigida andrà a bussare alle porte perfino delle nostre italianissime multinazionali dell’agroalimentare?! Suona forse come una provocazione, eppure ecco le prime parole di Meloni: «La sovranità alimentare è centrale. Ci hanno raccontato che il libero commercio senza regole ci avrebbe reso tutti più ricchi, ma non è andata così, la ricchezza è concentrata verso l’alto e ci siamo indeboliti, dipendiamo da tutti per tutto», ed ha poi precisato: «sull’agroalimentare ci sono tre grandi questioni, la prima è la sostenibilità ambientale, sociale ed economica: vogliamo difendere l’ambiente con l’uomo dentro». Pazzesco: Meloni, forse a sua insaputa e forse ad insaputa della coalizione di Via Campesina, è la nuova leader dell’autentica Sovranità Alimentare. Non c’è che dire, pare una novella leader rural-antiglobalista anticapitalista e…beh, anche antineoliberismo.
Però quando la guerra è arrivata in Ucraina e la produzione -ed il conseguenta approvvigionamento- di cereali è risultato in forte rischio, tutte le pregiudiziali ambientali ed energetiche sono state rimosse dal tavolo, dimenticandosi della “transizione energetica”, che infatti nelle nomenclature dei ministeri del Governo Meloni è magicamente scomparsa (pur avendo ripreso il Ministro addetto al settore, Roberto Cingolani, come consulente).
Con chi il Governo Meloni ha finora interloquito? Sappiamo che l’adagio “dimmi con chi ti accompagni, ti dirò chi sei” non è sempre vero, ma è pur sempre un indicatore da tenere presente.
Hanno forse Meloni e Lollobrigida interloquito con la Associazione Rurale Italiana? A.R.I. nel proprio sottotitolo così riporta: “per la crescita della società civile, un’agricoltura contadina socialmente giusta ed un corretto utilizzo di tute le risorse naturali rispettoso della biodiversità, attento ad una produzione ecologicamente durevole per la Sovranità Alimentare”, e come prima immagine sul proprio sito appare la copertina del documento di Via Campesina, datato 25 novembre 2020, dal titolo “Contadin* [sì, con l’asterisco, elemento lessicale inclusivo, nda] in lotta, per i nostri diritti, contro il virus del capitalismo e del patriarcato!“. Tra asterisco e patriarcato non si saprebbe dire quale elemento verbale possa far inviperire maggiormente oggigiorno gli esponenti della destra meloniana.
Ha forse il Governo Meloni già preso contatti con il CISA, acronimo che sta per Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare, cioè è “una rete di oltre 270 associazioni di categoria, organizzazioni non governative, sindacati, associazioni e movimenti sociali ed ambientalisti che hanno deciso di unirsi in una piattaforma italiana per sostenere la Sovranità Alimentare e tutte le questioni ad essa collegate. Per affermare tale principio, si propone e sostiene un modello agricolo sostenibile e di scala familiare, a tutela dell’ambiente ma anche e soprattutto degli equilibri sociali propri di ogni comunità”, come dice nella homepage del proprio sito il CISA stesso?
E’ stato forse consultato il comitato di Via Campesina, che proprio ora nella propria homepage pubblicizza “16 October 2022 | Building Stronger and New Alliances to Strengthen the Food Sovereignty Movement”, con tanto di hashtag: #FoodSovereigntyNOW, poiché il 16 ottobre è la Giornata Mondiale dell’Alimentazione e quindi per il movimento è la Giornata Internazionale all’Azione per il Cibo e la Sovranità dei Popoli avverso le Multinazionali (“International Day of Action for Peoples’ Food Sovereignty against Transnational corporations”).
Vi sono stati dialoghi e scambi con il Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare (I.P.C.) [consultabile al link di facile intuizione https://www.foodsovereignty.org/] ?!
Quanto posto in interrogativa non pare. L’allora non ancora Ministro ma semplice senatore -al massimo in allora CapoGruppo Fratelli d’Italia al Senato- Lollobrigida, andò invece in visita al Villaggio Coldiretti a Milano un mese fa, ed ivi affermò: “Il made in Italy è la vetrina dei prodotti migliori che abbiamo nella nostra Nazione e che dobbiamo difendere. In questi anni, purtroppo, non abbiamo avuto condizioni di favore“.
Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini così afferma in coerenza col Ministro: “Un impegno per investire nella crescita del settore, estendere le competenze all’intera filiera agroalimentare, ridurre la dipendenza dall’estero, valorizzare la biodiversità del nostro territorio e garantire agli italiani la fornitura di prodotti alimentari nazionali di alta qualità”. Coldiretti che è la prima a sostenere e sponsorizzare, a buon ragione, ogni 25 ottobre il World Pasta Day, con tanto di pubblicazione di dati sempre in crescita dei costumi di pasta in Italia e soprattutto in tutto il mondo! Consumi mondiali che però si basano sulle multinazionali, anche italianissime, che producono ed esportano ovunque, worldwide appunto, la pasta.
Punto secondo: ecco che ci arriviamo all’altro spunto proveniente dalle parole del Ministro Lollobrigida: “Il nome non è inedito, lo hanno anche in Francia dove hanno difeso meglio i loro prodotti. Riteniamo che sia completamente in linea con la vocazione che avremo in questa fase: difendere i nostri prodotti”.
Può quindi, alla luce degli elementi offerti, sorgere il dubbio che in realtà si sia giocato sulla assonanza tra “sovranità” e “sovranismo”, e che quindi si voglia tutela più il contadino-patriota, magari dalle tassazioni e dalle normative europee, quanto il contadino-ambientalista e coltivatore non solo del cibo ma anche dell’ambiente, giungendo all’inaspettato -e certamente non voluto dalla coalizione di Via Campesina- esito di -parole dello scrittore attivista ambientalista Fabio Ciconte sulle colonne del Corriere della Sera- «declinarlo in chiave conservatrice e antiecologica»?!
Pare scorgersi il processo avvenuto nel seno della destra italiana. Partendo da una atavica e sincera avversione che tutte le declinazioni di destra -sociale, sia aggiunto- europea hanno nei confronti della globalizzazione economica e delle sue conseguenze, anche la destra italiana, trovando punti di sincero contatto di pensiero antagonista con la sovranità alimentare, ha deciso oggi di prenderne il nome, il titolo, la locuzione, senza però imbracciarne fino in fondo le convinzioni, sedotta assai probabilmente dalla assonanza tra “sovranità” (che però, in quel caso, risiede nei contadini e nei loro ecosistemi!) e “sovranismo”, che è il nome odierno delle ideologie di tutte queste declinazioni di destra.
Da ultimo, come ulteriore elemento di contesto e quanto meno apparente contraddizione con le politiche sovraniste -non “sovranitarie”, si consenta- è il dato tutto europeo relativo alla tutela dei prodotti alimentari italiani. Chiunque nel mondo se pensa alla cucina italiana può pensare al Parmigiano Reggiano, al Prosciutto San Daniele, all’Aceto Balsamico di Modena: oggi, sebbene col debole nel nome “Ministero delle Politiche Agricole e Forestali”, sono già 315 i prodotti con marchi Dop (denominazione di origine protetta), Igp (indicazione geografica protetta), Stg (specialità tradizionale garantita). E con buona pace di sovranisti ed anti-europeisti, sono proprio questi marchi ha proteggere dalla contraffazione nonché garantire provenienza geografica e fasi della produzione, al punto che i prodotti con marchio Dop e Igp, al fine di garantire “i metodi di produzione tradizionale” -sì, “tradizionale”!- possono continuare ad essere lavorati in modalità esente dal rispetto delle stesse normative comunitarie!
Sappiamo bene che l’atto di conferimento il nome alle cose ha un valore altissimo, e non solo simbolico. Con riferimento noto a parte della cultura italiana, è Dio stesso a concedere ad Abramo il potere ed il diritto di nominare tutte le bestie e tutte le piante dell’Eden, cioè del mondo. Come è quindi possibile che Meloni e Lollobrigida abbiano compiuto con questa leggerezza questa scelta?
Tra ideologie contrastanti (sovranità e sicurezza alimentare) non è che forse Meloni e Lollobrigida hanno optato per un richiamo identitario a discapito dell’afflato ideale?
O forse dobbiamo attenderci, in barba al sistema e al contesto liberale in cui loro e tutti noi siamo immersi, una autentica svolta rivoluzionaria da vera “destra sociale”?
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