Ci sono tanti modi di vedere e quindi analizzare i risultati elettorali, anche in base al taglio e alla ricomposizione che viene loro data e quindi offerta alla discussione.
Certamente il dato primo che emerge con nettezza è che una delle coalizioni o liste singole presentatesi con ambizioni governative ha ottenuto un consenso ampio e distribuito a sufficienza da vedersi tradotto in una maggioranza chiara e consistente in Parlamento, sia alla Camera sia al Senato.
Possiamo dire che dopo due elezioni (nel 2013 e nel 2018) senza che ci fosse un vincitore il giorno dopo le elezioni, questa volta il risultato è chiaro: il centrodestra, con il 44% nel paese, in forza anche dei tanti collegi uninominali, conquista 235 (su 400) seggi alla Camera e 115 (su 200) al Senato.
Quali che siano le preferenze politiche di ciascuno, è un segnale che lascia ben sperare sull’avvio rapido e ben incardinato di questa nuova Legislatura: se nel 2013 e ancor più nel 2018 le fasi delle prime consultazioni erano durate davvero a lungo, oggi potremmo immaginare in maniera fondata che nel giro di una decina di giorni il nuovo Governo sarà in sella.
Ma anche vedere “chi non ha vinto” può essere interessante ed utile per riflessioni sul sistema paese.
Certamente ha vinto la democrazia, ma non possiamo dire abbia vinto la partecipazione! Con il 63,9% dell’affluenza rispetto al corpo elettorale, queste del 25 settembre 2022 sono le elezioni politiche nazionali a cui ha partecipato il minor numero percentuale di italiani. Nemmeno 2/3 delle italiani e degli italiani ha partecipato alle elezioni.
Con un pizzico di cinismo potremmo dire che già da domani nessuno parlerà più davvero della astensione: noi tutti, già oggi, già adesso, stiamo già dicendo “il centrodestra ha vinto col 44%”, quindi di fatto cancellando dalla mente il dato del 36% di astensionismo! Eppure sarebbe un dato su cui la classe politica dovrebbe fermare ad interrogarsi, per davvero.
O forse…no. E se davvero le giovani generazioni così restie alla partecipazione non sentissero così tanto questa spinta al voto? È una provocazione, sia ben chiaro…eppure l’abbassamento dell’età del voto anche al Senato -è la prima volta dall’inizio della Repubblica (dal 1948) che basta essere maggiorenni per votare sia per la Camera dei Deputati sia per il Senato! Eppure ciò registra quindi un altro “non vincitore”: la partecipazione delle e dei giovani al voto.
Non hanno certamente vinto parimenti Partito Democratico e Lega: deludono entrambi, su più fronti, e li si accosta perché avranno da oggi lo stesso numero di Deputati (65 ciascun partito) e pressoché lo stesso al Senato (37 al PD, 29 alla Lega).
Il Partito Democratico non ha saputo raggiungere il 20%, così come la Lega il 10%: simbolicamente per entrambi una bella sconfitta, sonora e che non stentiamo a credere già abbia ripercussioni, fuori e dentro ciascun partito. Chi vivrà vedrà, ma certamente conosceremo una nuova stagione per entrambi. Letta ha già salutato, quando lo farà -verrà fatto fare a- Salvini?
Non ha vinto il “Terzo Polo”, eh no, non lo si può dire. Ha preso meno voti di Forza Italia, il partito su cui Renzi sono anni ormai che sta provando a gettare un opa inclusiva e di inglobamento. Verrà da chiedersi se sarà invece Berlusconi a inglobare eventuali transfughi (ri)convertiti sulla via di Arcore. Azzardo dite voi? Beh, il Governo avrà piacere anche ad avere eventuali nuovi appoggi verso il centro, anche per accreditarsi maggiormente nei consessi nazionale ed internazionale: Calenda aveva aperto ad una ipotesi simile, quindi perché non considerarla tra le opzioni possibili?
Per alcuni forse sarebbe una ulteriore sconfitta.
Il terzo polo non si era dato né aveva detto quale sarebbe stata una soglia traguardo, ma restare sotto Forza Italia, non prendendo nemmeno il 10%, nemmeno rieccheggiando il risultato di Scelta Civica (“il partito di Mario Monti”), non ha un sapore che si possa dire dolce, suvvia.
Non ha certamente vinto Più Europa: resta la soglia di sbarramento nazionale, entrano sì 2 deputati (ma nemmeno un senatore!) ma perché candidati comuni della coalizione in due collegi uninominali. E che dire? Più Europa non vince da anni. Smuove animi ed entusiasmi, anche per la potenza e il carisma indiscutibile (magari non da tutte e tutti apprezzato, ma è altra cosa) della sua leader Emma Bonino. Che però nel suo collegio di Roma ha perso. Sconfitta nella sconfitta. E il Parlamento -almeno per ora: è il momento di elevarla a senatrice a vita?- così non vedrà più tra i suoi banchi una delle interpreti più note ed autorevoli degli ultimi 50 anni.
Non ha certamente vinto la componente dei “moderati di centro destra”, cioè la somma delle liste di Giovanni Toti, Maurizio Lupi, Luigi Brugnaro e Lorenzo Cesa: rimanendo sotto l’1% i propri pochi voti nemmeno concorrono alla sommatoria delle liste della coalizione a livello nazionale!
Conterà sì 7 deputati e 2 senatori, ma in virtù degli accordi ottenuti con l’intera coalizione in alcuni collegi uninominali.
Le prime dichiarazioni del Presidente di Regione Liguria Toti sembrano già indicare un “ritorno a casa” in Forza Italia”.
Uno dei più grandi sconfitti è certamente Luigi Di Maio: sotto l’1% la lista sua e di Bruno Tabacci, “Impegno Civico”, e pure lui non eletto nel suo collegio uninominale. Dimenticheremo Di Maio? Scomparirà dalla scena politica? Se fosse così sarebbe stata certamente la più fulgida meteora della terza repubblica.
E un altro sconfitto eccellente? Carlo Cottarelli, perdente nel suo collegio contro Daniela Santanché. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ora, anche in forza del suo impegno diretto tra le fila del PD e della coalizione del centrosinistra tutto, non potrà certo più convocarlo a Palazzo Chigi, foss’anche per un altro bluff…per Cottarelli le porte di Palazzo Chigi si chiudono qui.
Possiamo e vogliamo essere provocatori un poco, anche per alimentare la discussione e le riflessioni?! Dai, siamolo.
Certamente il centrosinistra ha perso, e sonoramente. Le opposizioni tutte le loro complesso hanno perso.
Ma il Movimento 5 Stelle e Giuseppe Conte non hanno perso. Stando ai risultati di 4 anni e mezzo fa sì, eccome, avoja. Il Movimento 5 Stelle ha perso ben 5 milioni di voti da allora, dimezzando i suoi consensi in percentuale. Ma stando agli abissi toccati nei sondaggi di giugno e luglio, prima dell’innescarsi della crisi del Governo Draghi, Giuseppe Conte ha saputo far raddoppiare i consensi del proprio partito: un risultato lodevole, vista la brevità e la collocazione temporale della campagna elettorale.
Va anche ricordato che Giuseppe Conte non guidava in alcun modo il M5S nel 2018 prima delle elezioni e solo più recentemente ne ha assunto pienamente la guida. Un nuovo M5S, che esce vincente da questa campagna elettorale.
Inoltre il M5S è il primo partito nella maggioranza dei collegi del Sud, oltrepassando il 35% in Campania.
Infine, sarà un dato marginale ma Conte è stato leader anche delle spese per sponsorizzare i propri contenuti video su Facebook ed Instagram: ha speso tra 28 e 30 mila euro a settembre. Leader dei social. O quasi.
Nemmeno il centrodestra unito ha davvero vinto. Qui si vuole un poco suscitare riflessioni magari anche sorprendenti, al netto della evidenza dei risultati che in alcun modo possono essere controvertiti.
Guardiamo ai numeri dei votanti: la destra nel suo complesso, con la stessa coalizione se pur con pesi dei singoli partiti ben diversi, prese 12 milioni di voti, cioè pressoché quanti quelli ottenuti domenica 25 settembre 2022. Ciò non toglie che Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni abbiano vinto le elezioni, ma appunto siamo così sicuri le abbia “vinte” il centrodestra? Diciamo che ha vinto ma non ha convinto, nessuno più del 2018 quantomeno.
FdI ha fatto il pieno di consensi, come non mai prima d’ora e come mai un partito di destra nell’Italia repubblicana. Un record, una prima volta difficile da ripetere vista la volatilità del voto negli ultimi 15 anni. Eppure sembra trattarsi di un travaso di voti tra liste. Non è motivo di non festeggiare e di non guidare il paese, figurarsi, ma elemento di riflessione per il centrodestra nel suo complesso potrebbe ben esserlo.
Probabilmente la lista, anche proprio dei “non vincitori”, potrebbe ancora a lungo continuare, le “analisi della sconfitta” così come le celebrazioni dei trionfi possono dare il là ad esercizi sofistici ed anche retorici di ampio sviluppo, ma forse ciò che invece si può dire con pragmatismo e scevro da vene elettoralistiche vestite in questo insolito e inaspettato mese di campagna elettorale è che “domani è un altro giorno”, e che il mondo né finisce ieri né nasce nuovo oggi.
La curiosità però di vedere come si sviluppa è ciò che ci spinge a vivere, dopotutto.
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