26 luglio 2012, Londra, sede della Global Investment Conference, l’allora Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi pronuncia la frase da allora fatidica: “whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it would be enough” [“qualsiasi cosa per salvare l’euro. E credetemi, sarà sufficiente”]. Da allora quelle tre parole (“whatever it takes”) sono come impresse sulla pietra viva della storia, almeno recente, certamente europea, e dal 2020 nel dizionario Treccani.
Da allora Mario Draghi è divenuto -qualora già non lo fosse- noto in tutto il mondo quale alfiere dell’unità europea attraverso la tutela e salvaguardia dell’euro, certamente da allora noto a chiunque di noi che magari non ci intendiamo di finanza mondiale.
21 luglio 2022, Roma, tra Camera dei Deputati e Palazzo del Quirinale, l’allora Presidente del Consiglio rassegna le proprie dimissioni dall’incarico assunto a febbraio 2021. Un anno e mezzo di governo, un Governo sostenuto da una amplissima maggioranza parlamentare, trasversale ai partiti e ai precedenti posizionamenti (ma la Legislatura ha visto tre Governi susseguirsi con tre maggioranze sia diverse sia ricomposte sia del tutto impreviste), segnando quantomeno il record di durata per un Governo della Repubblica Italiana retto da una figura indipendente.
In questi dieci anni mario Draghi è stato spesso portato su un palmo di mano da gran parte della classe dirigente -politica, economica, intellettuale, finanziaria- del Paese e certamente in questo ultimo anno e mezzo ha tracciato un solco personale nella storia del Paese, non foss’altro per la c.d. “messa a terra” del PNRR.
Il suo lavoro, la sua competenze e la grande stima di cui gode Draghi nei consessi internazionali ha reso impossibile a qualsiasi partito facente parte della maggioranza di criticarlo frontalmente, anzi alcuni schieramenti (la federazione Azione-Italia Viva su tutti) hanno fatto della c.d. “Agenda Draghi” uno dei proprio slogan elettorali più pervasivi.
In questo periodo di campagna elettorale Mario Draghi ha tenuto il suo solito stile, sobrio, diretto, chiaro, netto e inequivocabile.
Per esempio ha ironizzato sulla sua presunta “Agenda Draghi”, così come ha tranciato di netto ogni possibilità di un suo ritorno a Palazzo Chigi, e invero ha anche per un verso garantito internazionalmente che poco potrà cambiare per il Paese a fronte del nuovo Governo venturo quale che sia, e per un altro verso ha però fatto anche intendere almeno in una certa misura il proprio parere su alcune forze politiche che pur sostenendo il suo Governo hanno da tempo ammiccato anche a forze più opache di provenienza russa o almeno russofila.
A fine agosto, all’ultima conferenza stampa di più alto livello in cui si è discusso delle concrete misure da mettere in campo sia per far proseguire l’attuazione del PNRR sia per rispondere ai forti venti di crisi a causa della guerra in Ucraina mossa dalla Russia, Draghi ha rivendicato fondatamente tutti i meriti e tutti gli onori raggiunti e ottenuti dal proprio Governo.
Non si può certo dire che Mario Draghi abbia corso questa campagna elettorale. Invece diversa scelta spesso e pesantemente viene rimproverata all’altro “Super Mario”, Mario Monti, allorquando circa 10 anni fa scelse di scendere nella mischia politica alla conclusione della propria esperienza a Palazzo Chigi. Probabimente questo Super Mario -Draghi- avrà tenuto in considerazione anche l’esperienza del suo omonimo predecessore, per tanti versi assimilabile, e per altri invece così distante.
Non la ha corsa, eppure Mario Draghi è pur sempre rimasto un protagonista di questa campagna elettorale. Non un attore sempre sul palco, ma il caratterista che si muove in secondo piano e il cui nome aleggia nelle vicende di tutto lo scorrere del film.
Se davvero si trattasse di una pellicola vincerebbe sicuramente l’Oscar per il Miglior Attore Non Protagonista.
E invece si tratta di…uno statista, o almeno tale andrebbe definito oggi Mario Draghi visto il conferimento a lui proprio del Premio di “Miglior Statista dell’Anno” [“World Statesman Award”] da parte della Appeal of Conscience Foundation, il 20 settembre.
Anche in questa occasione, l’ultima internazionale da Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana -almeno per ora-, Draghi ha parlato col suo stile, netto e chiaro: «Come mi è stato ricordato durante la mia recente visita a Yad Vashem, l’indifferenza è il peggior nemico dell’umanità. Parlare apertamente non è solo un obbligo morale, è un dovere civico. A coloro che chiedono silenzio, sottomissione e obbedienza dobbiamo opporre il potere delle parole – e dei fatti. Oggi il mondo ha bisogno di coraggio, chiarezza, amore e speranza». E così anche nette sono le parole sulla situazione al momento più critica -o forse meglio sarebbe dire più sotto i riflettori- nel mondo: «L’invasione russa dell’Ucraina rischia di inaugurare una nuova era di polarizzazione. Un’era che non abbiamo visto dalla fine della guerra fredda. La questione di come trattiamo con le autocrazie definirà la nostra capacità di plasmare il futuro comune per molti anni a venire. Quando tracciamo una linea rossa, dobbiamo farla rispettare. Quando prendiamo un impegno, dobbiamo onorarlo. Le autocrazie prosperano sfruttando la nostra esitazione. Dovremmo evitare l’ambiguità, per non pentircene in seguito. Infine, dobbiamo essere disposti a collaborare, purché ciò non significhi compromettere i nostri principi fondamentali».
Non poteva poi non citare l’Europa Unita, principio tra i cardini della sua azione politica (anche da Banchiere Centrale, dopotutto): «l’Unione Europea e il G7 – insieme ai nostri alleati – sono rimasti fermi e uniti a sostegno dell’Ucraina, nonostante i tentativi di Mosca di dividerci. La nostra ricerca collettiva per la pace continua, come dimostra l’accordo per sbloccare milioni di tonnellate di cereali dai porti sul Mar Nero. Solo l’Ucraina può decidere quale pace sia accettabile, ma dobbiamo fare tutto il possibile per favorire un accordo quando finalmente sarà possibile»
Parole di lode sono arrivate da entrambi i fronti politici statunitensi. Per primo ha parlato una delle colonne storiche del Partito Repubblicano, l’ex Segretario di Stato, ormai 99enne, Henry Kissinger: «Ho grande rispetto per lui e per la sua grande visione e capacità di analisi», che ha poi aggiunto -profeticamente?!- «il suo coraggio e la sua visione faranno sì che resterà con noi a lungo», mentre Draghi stesso faceva cenno di no con la mano.
Ha poi espresso parole positive anche l’attuale Presidente (e già Vice Presidente) degli Stati Uniti, il democratico Joe Biden: «Mi congratulo con il mio amico per il suo lavoro nel far progredire i diritti umani nel pianeta. Draghi è stato una voce potente nel promuovere la tolleranza e la giustizia e lo ringrazio per la sua leadership».
Un elogio corale quello riservato a Mario Draghi, che oggi è certamente l’italiano più stimato -e forse anche più noto- al mondo. Un nome che è una garanzia, lui che ha saputo incarnare la c.d. “politica oracolare” ossia quella modalità di azione politica in senso lato tale per cui il solo pronunciare parole, il solo esprimere intenzioni fa accadere fatti, anche nel caso in cui le azioni promesse non vengano messe effettivamente o subito in campo. E’ la forza irresistibile della credibilità personale, della autorevolezza.
Siamo quindi davvero sicuri che dopo il voto del 25 settembre il nome di Mario Draghi scomparirà dalla scena politica del nostro Paese? La domanda aleggia già in sala. Non sarebbe la prima volta che un grande attore, dopo essersi pubblicamente ritirato, torna in sala per un nuovo acclamato successo. Non poco dipenderà anche dall’esito delle elezioni. Il contesto internazionale pare chiedere -da tempo ormai- stabilità e rassicurazioni all’Italia. Chissà che, ove non sapessimo trovare un nome, una squadra, una proposta, capace di darle anche sul piano internazionale, non si torni a bussare alla porta di Mario Draghi. Magari non subito, non il 26 settembre, né a febbraio 2023: è più attorno a fine luglio che pare si concentrino le date cruciali per ciò che accade politicamente a Mario Draghi.
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