La tanto erroneamente ripetuta formula coglie di taglio un punto importante: sono 11 anni che in Italia si costituiscono solo governi di coalizione tra forze e schieramenti avversari alle elezioni precedenti.
No, non è certo corretto dire “Governo non eletto dagli italiani” o “Presidente del Consiglio non eletto dagli italiani”, poiché nessun Governo né nessun Presidente del Consiglio viene eletto dalle elettrici e dagli elettori.
In Italia abbiamo una repubblica parlamentare ossia la sovranità, che appartiene al popolo, è delegata direttamente dalle elettrici e dagli elettori al Parlamento -cioè a deputati e senatori- che la esercita secondo quanto disposto dalla Costituzione, e quindi per quanto riguarda il Governo vota la fiducia ed esso o gliela revoca, non certo eleggendolo ma dandogli legittimazione parlamentare.
Il Presidente del Consiglio non è mai eletto in Italia -nemmeno quando c’era il Regno-, mentre è nominato -non eletto, si badi, ma nominato- dal Presidente della Repubblica (su indicazione dei partiti durante le consultazioni).
E’ ben vero che a partire dagli anni ’90 il malcontento facente seguito a Tangentopoli -e che comunque strisciava da tempo tra la rete sociale del Paese- di fatto condusse i partiti, o meglio le coalizioni, alla valutazione di opportunità di indicare chiaramente il proprio candidato Presidente del Consiglio, ovvero la persona che quel partito o quella coalizione avrebbero indicato al Presidente della Repubblica quale Presidente del Consiglio sostenuto dalla appena neo formatasi maggioranza., L’indicazione, a partire dal 1994 è avvenuta vuoi a parole nelle dichiarazioni inconfutabili dei partiti e delle coalizioni, vuoi anche per iscritto apponendo il cognome del candidato Presidente del Consiglio sul simbolo del partito e/o sui simboli delle liste della coalizione.
Fu Berlusconi con la sua personalissima discesa in campo, con tanto di nuovo partito, personale, costruito e issato su anche in fretta e furia, visto il crollo della “prima repubblica” -non avrebbe potuto fare altrimenti dato il vuoto lasciato da DC e PSI-, ad inaugurare questa nuova prassi della dichiarazione previa di Presidente del Consiglio in caso di vittoria.
Prassi consentita dal mutare della legge elettorale: dopo quasi 50 anni di proporzionale, il Mattarellum (la legge elettorale in parte maggioritaria e in parte proporzionale, vigente in Italia dal 1994 al 2006, che prese il nome dal suo redattore, Sergio Mattarella, ossia l’attuale Presidente della Repubblica) invitava i partiti a raggrupparsi chiaramente di fronte all’elettorato prima delle elezioni, misurando il proprio consenso già come futura coalizione di Governo, consentendo quindi la possibilità appunto di indicare quale sarebbe stato, in caso di vittoria, il Presidente del Consiglio della nuova coalizione di maggioranza in Parlamento.
L’operazione ebbe successo: nel 1994, nel 1996 e nel 2001 venne incaricato dal Presidente della Repubblica di comporre un nuovo Governo il candidato Presidente del Consiglio della coalizione uscita vincitrice dalle elezioni (rispettivamente: Berlusconi, Prodi, di nuovo Berlusconi).
Ciò non impedì, ovviamente e nel pieno rispetto della Costituzione, la formazione dei Governi Dini (1995-1996), D’Alema I (1998-1999) e D’Alema II (1999-2000), Amato (2000-2001), con Presidenti del Consiglio differenti e trovati grazie alla convergenza delle forze politiche nell’alveo della dialettica parlamentare, come è ben legittimo che sia.
La prassi, evidentemente elemento di chiarificazione nel corso della campagna elettorale, di semplificazione e personalizzazione dello scontro politico, si realizzò nuovamente anche nel 2006, nel 2008, e a dire il vero anche nel 2013 e nel 2018, pur essendo cambiata due volte la legge elettorale (prima il “Porcellum” e poi nel 2018 il “Rosatellum”).
Nel 2006 e nel 2008, così come per i precedenti 14 anni, a fronteggiarsi e a vincere a momenti alternati sono stati rispettivamente Prodi e Berlusconi.
La prassi inaugurata nel 1994 era a tal punto accettata dal sistema che nel 2008 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per la prima volta nella storia della repubblica italiana e rompendo una delle prassi più longeve della stessa, convocò direttamente Berlusconi, vincitore delle elezioni, per incaricarlo, senza svolgere alcuna consultazione, e Berlusconi accettò senza riserva (solo nel 1953 col Governo Pella andò ugualmente) presentando subito la lista dei Ministri. La prassi era assurta a livello per così dire costituzionale.
Nel 2013 e nel 2018 abbiamo ben visto quanto le elezioni non abbiano consegnato un risultato tale per cui una sola coalizione da sola avesse ottenuto una maggioranza sufficiente a formare un proprio Governo.
E così anche già dal primo Governo di ciascuna delle ultime due Legislature il Presidente del Consiglio differiva da quello indicato da quelli indicati dalle coalizioni elettorali.
Così nel 2013 divenne Presidente del Consiglio Enrico Letta, poi Matteo Renzi nel 2014, infine Paolo Gentiloni nel 2016. Così nel 2018 divenne Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, costituendo anche un secondo Governo (2019) e infine come ben sappiamo Mario Draghi dal 2021 al 25 luglio scorso.
Nessuno di questi Governi aveva un Presidente del Consiglio coincidente al candidato di una delle coalizioni, dovendo le maggioranze di governo costituirsi previo accordo tra almeno alcune delle forze politiche che avevano corso su fronti opposti alle precedenti elezioni.
Se a ciò aggiungiamo che anche il Governo Monti (2011-2013), al di là del suo elemento “tecnico”, poggiava su una maggioranza parlamentare data dall’accordo tra forze politiche presentatesi divise alle elezioni del 2008 e su fronti apposti fino a qualche giorno prima (alcune nel Governo Berlusconi IV ed altre fuori, saldatesi grazie al cosiddetto “Patto ABC” cioè i tre leader Alfano Bersani e Casini), possiamo affermare apertis verbis che è dal novembre 2011 che il Presidente del Consiglio incaricato dal Presidente della Repubblica non è mai uno di quelli indicati quali candidati da almeno una delle coalizioni presentatesi alle elezioni.
Questo dato -del tutto legittimo costituzionale, ridicolo è sollevarvisi demagogicamente contro- è oltremodo interessante: sebbene la prassi dell’indicazione del Candidato Presidente del Consiglio si sia ripetuta nel 2013 e nel 2018, mai uno di costoro è stato poi davvero incaricato.
La prassi è stata seguita anche questa volta?
Possiamo dire di sì, sebbene con qualche scricchiolio.
Se è ben chiaro che così come Carlo Calenda è il candidato Presidente del Consiglio della Lista Elettorale federativa di Azione e Italia Viva, così Giuseppe Conte è il candidato del Movimento 5 Stelle, non altrettanto può dirsi in maniera piana delle due principali coalizioni elettorali di centro destra e centro sinistra.
Sul fronte del centrodestra si è di nuovo utilizzata la perifrasi secondo cui “sarà indicato come Presidente del Consiglio al Presidente della Repubblica il/la leader del primo partito alle elezioni quanto a voti raccolti”. E’ chiaro che è e sarà Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, i sondaggi la danno avanti di molto su Lega e Forza Italia, eppure la sua leadership non è stata sancita così chiaramente come nel passato per Berlusconi.
Simile perifrasi per la verità la si utilizzò nel 2008, parlando anche di “attacco a tre punte”, ma allora parve un mero artifizio a blindatura della ritrovata pace nel centrodestra.
Sul fronte del centrosinistra invece è chiara e predominante agli occhi di tutti la leadership di Enrico Letta, vuoi anche per il suo essere Segretario del Partito Democratico. Eppure il suo nome non è né indicato esplicitamente e univocamente dalle forze della coalizione (nemmeno il Partito Democratico sta caratterizzando personalmente la campagna elettorale) né appare su alcun simbolo come quello del classico candidato Presidente del Consiglio.
Cosa accadrà dopo le elezioni?
Difficile dirlo con certezza. Certo sarà tanto più curioso quanto più i risultati non ci restituiranno una maggioranza di governo chiara, ovvero costituita da una sola coalizione elettorale.
Ancora più certamente qualora nuovamente il Presidente della Repubblica si trovasse a nominare Presidente del Consiglio, per l’ennesima volta (sarebbe l’ottava dal 2011 ad oggi), una persona non appartenente alla lista dei candidati delle coalizioni elettorali, sarebbe certamente da mettere in discussione, anche sul piano del dibattito pubblico politico, la sensatezza della prassi -non poggiante su alcuna disposizione costituzionale- del “candidato” Presidente del Consiglio dei Ministri.
I sondaggi danno vincente la coalizione che appoggia Giorgia Meloni quale futura Presidente del Consiglio. Non possiamo però non nascondere che alcune voci interne allo stesso centrodestra hanno già cominciato a seminare il dubbio e zizania, tanto che la candidatura di Giulio Tremonti tra le fila di Fratelli d’Italia è stata interpretata da molti come la anticipata presentazione del Ministro delle Finanze ma da alcuni anche come la parlamentarizzazione del “candidato B” qualora Meloni non riuscisse a ottenere davvero il sostegno delle forze di centrodestra. E anche con questo “candidato B” saremmo alla ripetizione dello scenario che si realizza dal novembre 2011.
Con tutti gli altri esiti elettorali, nessuna coalizione né partito avrebbe da solo la maggioranza sufficiente per formare un Governo, dovendo così trovare accordi in Parlamento, che è ben probabile (per non dire certo) non convergerebbero sul nome di una delle persone candidate ma ne indicherebbe una ulteriore.
Pare quindi le chance non siano così marginali.
Ma perché allora, in questo caso, non smetterla di indicare il candidato Presidente del Consiglio dei Ministri, se poi tanto il giorno dopo le elezioni si deve costruire una maggioranza di Governo attorno ad un altro soggetto?!
Non ci sarebbe più argomentazione “popolare” (aka demagogica) che potesse tenere, perché lo stesso popolo sarebbe “preso in giro” per l’ennesima volta il 11 anni, e da tutti i partiti e tutte le coalizioni. Ma la Costituzione finalmente vincerebbe.
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