Si è appena concluso il più recente dei summit del G7, in Germania a Kruen, data la presidenza di turno alla Repubblica Federale Tedesca, e nel 2024 toccherà nuovamente all’Italia ospitarlo, dopo che l’ultima volta fu nel 2017 a Taormina, che allora fu il primo nuovamente senza la Russia (e quindi non più anche in assetto G8).
G7 sta per “Gruppo dei Sette”, chiaro, ma 7 cosa?
Nel 1975 cominciarono a riunirsi ciclicamente quelli che allora erano le 7 economie trainanti del mondo: i membri di quello che fino ad allora era stato -con lo stesso principio- il G6, cioè USA, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, affiancati dal Canada. In realtà fu solo nel 1986 che si formalizzò davvero come “forum intergovernativo G7”, sempre con questi membri.
Nella memoria recente poi è forse più nota -ahinoi forse anche tragicamente- la formula del G8: ovvero i 7 precedenti cui si aggiunse dal 1998 al 2014 la Russia, prima sospesa e poi uscitane formalmente nel 2017.
E’ invitata permanente a partire dal 1981 anche l’Unione Europea, il cui peso e ruolo è andato ampliandosi, al punto che ne fu l’ospite formale nel G7 del 2014, tenutosi a Bruxelles.
Il G7 nacque quindi come forum intergovernativo dei 7 Stati del mondo economicamente ed industrialmente più avanzati, il cui peso politico, economico, industriale, militare è ritenuto cruciale su scala mondiale. Certamente nel 1975 gli equilibri di potere anche internazionali e geopolitici sancivano questo dato. Ciò voleva (e vuole, ancora oggi, seppur forse meno di ieri) dire che, sebbene le decisioni prese da tale consesso non abbiano alcun valore giuridico, esse esercitano per forza di cose una forte influenza sull’assetto internazionale e mondiale.
Forse però oggi -e nel corso delle decadi- le cose potrebbero essere un poco cambiate.
Il G7 non nacque casualmente ma per molte concause, tra cui la prevalente fu il cosiddetto “Nixon Shock” del 1971-73, cioè la rottura del sistema economico monetario internazionale vigente sin dagli accordi che istituirono il sistema di Bretton-Woods nel 1944, lasciato per primo dalla Germania Ovest, non più intenzionata a rivalutare il marco tedesco, proprio nel 1971.
Il G7 era la risposta trovata per facilitare con una diversa formula le iniziative macroeconomiche a livello internazionale e globali per gli stati membri, allora appunto leader della politica economica mondiale.
Questi 7 Paesi sono ancora oggi detentori di quel potere, di quell’influenza, di quel primato?
Ovviamente il primo parametro di cui tenere conto deve essere attinente alla ricchezza, in particolare al PIL (Prodotto Interno Lordo annuale) nominale pro capite (per ciascun individuo di quello Stato). Se si adottasse propriamente e pedissequamente questo unico parametro…beh, sarebbe tutto un altro G7!
A guidare la classifica sono infatti Lussemburgo, Lichtenstein e Svizzera, seguiti da Macao, Norvegia, Irlanda e Islanda.
Come però suggeriscono gli esperti e i dati, meglio è guardare a questo parametro per così dire corretto in modo equo, vale a dire il PIL a PPA (Parità di Potere di Acquisto) pro capite.
Monaco, Lichtenstein e Lussemburgo sono, in quest’ordine, sul podio. Comporrebbero la parte restante rispettivamente Singapore, Irlanda, Qatar e Macao. Solo Europa ed Asia all’appello.
Se poi volessimo scorrere ancora un poco queste classifiche, prima di trovare gli USA, i primi tra i membri del G7, dovremmo superare Emirati Arabi Uniti, Norvegia e pure Brunei (seppure in ordine diverso a seconda del parametro).
La fonte è il Fondo Monetario Internazionale.
Questa classifica (che sia presa nella prima o nella seconda versione) si discosta significativamente dalla lista del G7, ma è del tutto comprensibile: facendola breve potremmo dire che nel calcolo finiscono non solo le persone ma anche le aziende (Irlanda il caso europeo più evidente), e -senza alcun giudizio morale- quelle località che hanno scelto di adottare misure fiscali del tutto vantaggiose per i clienti bancari nonché forse poco invasive garantendo una certa protezioni da occhi, per così dire, indiscreti.
Prendendo ancora come parametro il PIL a PPA procapite (e come fonte sempre FMI), tenendo conto di quanto appena osservato, ISPI offre la seguente classifica: Cina, USA, India, Giappone, Germania, Russia, Indonesia, con eventuale “ripescato” (considerando che Russia non ne farebbe parte) Regno Unito. Solo 3 membri su 7 (o 4 del G8) verrebbero per così dire confermati.
Considerando l’ambito economico finanziario, la classifica che più somiglia al G7 è quella relativa alla Ricchezza Nazionale, ovvero la differenza tra somma del valore dei suoi asset e il suo indebitamento, ed è la seguente: USA, Cina, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, con il Canada all’ottavo posto. Solo la Russia invece uscirebbe mal messa: al 19esimo posto, peggio -tra i tanti altri- di Corea del Sud (10 posto), India (11) e Brasile (16).
Forse oggi e negli ultimi 10 anni ci siamo di vivere in un mondo che da sempre è in perenne conflitto, o meglio ove i conflitti ci sono sempre e mai smettono. L’altro ieri forse la ex-Jugoslavia ci aveva toccato da vicino, così come oggi ci tocca ed è “alle porte dell’Europa” la guerra in Ucraina, così come ieri i successivi conflitti in Iraq, Afghanistan e Siria.
Ed allora, per quanto in Italia spiri un forte vento di pacifismo e smilitarizzazione, il parametro della forza militare non può certo essere ignorato, ed infatti è compreso e citato nella lista del G7, eppure a guardare nel dettaglio alcune sue componenti ci sono delle sorprese.
Se prendiamo come parametro la potenza militare di ogni Stato (“Power Index” come lo indica il Global FirePower – Strenght in numbers), la composizione del G7 muterebbe ancora.
Come prevedibile la classifica è guidata da Stati Uniti, al primo posto, e Russia. Al quinto posto il Giappone e al settimo la Francia. Mentre gli outsider sarebbero al terzo posto, dove c’è la Cina, al quarto con l’India, e, forse con sorpresa di molti, al sesto con la Corea del Sud. Una classifica premiante per l’Asia, potremmo dire.
Sempre sul piano militare, con la specifica dell’essere dotati della bomba atomica, la composizione verrebbe anche in questo caso mutata.
Russia (più di 6000 testate) e Stati Uniti (più di 5000 testate) svettano nettamente.
Al terzo posto (ma “solo” con 350 testate) la Cina, e poi a seguire Francia (290) e Regno Unito (215), chiudono Pakistan (165) e India (156). Le due successive sono poi Israele (90) e Corea del Nord (40).
Anche in questo caso alcuni dei membri attuali del G7 perdono molte posizioni.
Sotto l’aspetto più circoscritto delle forze militari in senso stretto, ovvero delle persone impiegate regolarmente come militari di professione, avremmo ancora ulteriori soprese.
Sempre l’Asia la farebbe da padrona esprimendo 6 dei primi 7 Paesi del mondo, nonché 9 dei primi 10. Come intuibile l’unica eccezione sono gli USA (1,4 milioni circa), ma gli altri Paesi quali sono? Cina al primo posto (più di 2 milioni di militari)e India (1,4 milioni circa) al terzo non ci stupiscono poi troppo: se un criterio intuitivo può esserci, che sia quello del rapporto tra numero di abitanti e forze militari. Smentito però subito dal quarto posto: Corea del Nord (1,1 milioni), e anche dal quinto (Russia, 900mila), sesto (Pakistan, 700mila) e settimo (Corea del Sud, poco meno di 700mila), ove evidentemente sono le scelte politiche a dettare una sì consistente forza.
Abbiamo fino a qui considerato le forze militari permanenti in servizio al momento.
Se invece volessimo, quasi giocassimo a Risiko, considerare complessivamente tutte le forze militari di cui oggi dispone ogni Stato, considerando certo le forze permanenti ora in servizio, ma anche i contingenti impiegati come forze dell’ordine, nonché forze segrete ed infine anche le forze di riserva, avremmo una classifica con almeno una sorpresa, e sarebbe il primo posto: Vietnam, con ben 9,5milioni di persone. Anche in questo caso l’Asia ha il maggior numero di esponenti, proseguendo così la classifica: Cina (), Corea del Nord () e del Sud (), India () e Russia (). Appena settimi gli USA (), cui seguono Venezuela (), Turchia () e Brasile ().
Quale che sia la classifica che si predilige, i Paesi europei sono di molte posizioni più in basso.
Per provare a dare un quadro d’insieme: sotto 5 aspetti cruciali il peso del G7, a parità di membri che ne fanno parte, è diminuito in maniera più o meno significativa negli ultimi trent’anni.
Si prendano in considerazione e a confronto i dati del 1990 con quelli del 2020 [Fonte ISPI].
Il mutamento minore è nel dato della popolazione rappresentata: se nel 1990 la percentuale di popolazione mondiale facente parte dei paesi del G7 era del (solo) 12%, nel 2020 ha perso solo 2 punti percentuali, arrivando al 10%. Ciò però se mai accresce la esclusività del G7.
Sotto l’aspetto del PIL, se nel 1990 il PIL del G7 nel suo complesso rappresentava il 66% del PIL mondiale, nel 2020 è sceso al 46%.
I commerci dei membri del G7 nel 1990 erano pari al 52% del commercio mondiale, mentre nel 2020 sono scesi al 30%.
Nel 2020 le spese di Difesa dei Paesi del G7 ammontavano al 54% delle spese mondiali per la Difesa, quando nel 1990 erano al 71%.
L’unico dato che forse se mai moralmente potrebbe essere positivo è quello delle emissioni di CO2 (anidride carbonica): se nel 1990 erano pari al 40,51% delle emissioni mondiali, nel 2020 sono scese al 22,5%. L’altra faccia della medaglia però è la crisi mondiale che ha colpito se mai di più proprio i paesi industrializzati. E forse, ecco l’aspetto più critico per la composizione attuale del G7, vuol dire che non sono proprio più tanto i membri attuali del G7 i paesi di maggior produzione industriale.
In conclusione, la composizione del G7 è data da certamente complesse valutazioni ponderate tra loro, certamente anche da considerazioni politiche internazionali e da una sorta di equilibrio di potenza. Non pare quindi fuoriluogo evidenziare vi siano ancora alcuni strascichi da mondo diviso in due blocchi contrapposti: lo scontro tra le potenze, ancora oggi, proprio anche sul campo di guerra ucraino, non sembra a dire il vero offrire uno scenario diverso da quello ante caduta del Muro di Berlino, eppure molti altri parametri paiono ben mutati, e proprio alcuni dei più rilevanti secondo la scelta del G7.
Lasciando da parte valutazioni politiche di ogni genere, stona oggi siano fuori dal G7 (seppure a vantaggio peraltro certamente del nostro Paese, quindi forse non diciamolo troppo forte) Stati come Cina ed India, ma anche Brasile e Indonesia.
In questo ultimo decennio sempre di più la questione climatica è diventata -e ahinoi diverrà sempre di più- argomento preoccupante sul tavolo delle discussioni: anche sotto questo aspetto, che dovrebbe mettere tutte e tutti sull’attenti, è davvero impensabile non ragionare e non guidare le scelte assieme a Stati con popolazioni notevolissimi e impatto industriale in continua crescita.
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