Se la rielezione di Macron segna l’assurgere dell’europeismo a valore condiviso

Non capitava da 20 anni la rielezione del Presidente Francese, ed entrambi i contendenti davano per scontato l'europeismo come un valore, costituendo la sua effettiva realizzazione come campo di scontro.

Domenica 24 aprile scorso Emmanuel Macron è stato nuovamente eletto Presidente della Repubblica Francese, confermandosi 25° uomo assurto alla carica (considerando tutte le Repubbliche Francesi, così come sancito storicamente, essendo stato il primo proprio Luigi-Napoleone Bonaparte nel 1848).
Questo risultato e i primi effetti meritano la nostra attenzione sotto più punti di vista: la rielezione, la forma di governo semipresidenziale, l’europeismo. Affrontiamo le tre questioni una alla volta.

Macron è stato rieletto,cioè eletto per la seconda volta consecutiva, ed è una eccezione nei tempi recenti della storia politica francese. I due più recenti predecessori di Macron all’Eliseo (il corrispettivo palazzo del Presidente, così come lo è in Italia il Quirinale), Francois Hollande e Nikolas Sarkozy non erano infatti riusciti, dopo la prima affermazione, a ripetere il successo.
Macron quindi ripete il bis invece riuscito a Jacques Chirac (eletto nel 1995 e rieletto nel 2002, vent’anni fa) e prima a Francois Mitterand (eletto nel 1981 e rieletto nel 1988).
Ancora prima non vennero rieletti né Valery Giscard d’Estaing (eletto nel 1974) né Georges Pompidou (eletto nel 1969). Mentre è emeritevolmente nella memoria collettiva il doppio mandato del Generale Charles De Gaulle (1959-1969), indicabile anche come primo Presidente della Quinta Repubblica Francese.
Macron peraltro detiene anche il primato di più giovane eletto alla carica di Presidente della Repubblica Francese: nel 2017 aveva solo 39 anni, scalzando nettamente il più giovane fino ad allora, Giscard d’Estaing che nel 1974 ne aveva 48.

Se si sono ripercorse le date delle (ri)elezioni si sarà notato che la durata del mandato presidenziale è cambiata nel corso del tempo. Inizialmente era di 7 anni, mentre dal 2002 è divenuta di 5 anni. Le elezioni politiche per il Governo si sono sempre tenute ogni 5 anni, quindi non di rado è capitata la cosidetta “cohabitation”, letteralmente “coabitazione”, ossia l’avere un Presidente della Repubblica di uno schieramento partitico opposto al Primo Ministro: questo ha generato nel corso dei decenni conflitti, occasioni di rottura e soprattutto di blocco dell’attività governativa. A partire dal 2002 equiparando la durata delle cariche nonché stabilendo che entrambe le elezioni si svolgano nello stesso anno a poca distanza si è garantita una certa omogeneità nei risultati presidenziali e per l’Assemblea Nazionale.

In Italia, terra dalla instabilità politica dei Governi per eccellenza, non di rado si è guardato alla Francia, cioè al Semi-Presidenzialismo Francese, come uno dei modelli da cui copiare la forma di governo o da cui almeno importare qualche elemento.
Ciò che ha sempre affascinato non pochi studiosi è il sistema di voto presidenziale, per cui se al primo turno nessun/a candidato/a si afferma con la metà dei voti, allora si dovrà procedere ad un secondo turno tra i primi due arrivati al primo turno, così che il/la vincente abbia chiaramente conseguito almeno la metà più uno dei consensi dell’elettorato. E’ questo di fatto il sistema adottato dalla metà degli anni 90 nei Comuni Italiani, avendo allora come fine primo la creazione di un rapporto di fiducia diretto, personale, tra Sindaco e Cittadinanza.

Ciò che ha sempre spaventato -e a tutt’oggi spaventa, proprio anche alla luce del legame viscerale che sia positivamente sia negativamente si crea col Sindaco- è l’ampiezza dei poteri che il Presidente della Repubblica raccoglie in sé nonché il potenziale amplissimo consenso personale. La remora che ha sempre fermato l’Italia ad adottare un sistema anche solo semi-presidenziale è appunto questa ampia e forte concentrazioni di poteri e facoltà in capo ad una unica e sola persona.

Ma le Elezioni Presidenziali Francesi, o meglio in dibattito che le ha preceduto e in questi giorni seguita ha forse sancito un passaggio epocale.
Sia Emmanuel Macron -ovviamente- sia Marine Le Pen -sua avversaria, notoriamente su posizioni diciamo neo-golliste, per non dire autonomiste o sovraniste-, pur nella diversità delle soluzioni politiche, economiche, sociali ed anche culturali, hanno entrambi parlato di Europa e di…eh, si, di Europeismo.
E’ avvenuto quindi che entrambi i candidati abbiano dato come posto e dato l’elemento dell’Europeismo, che non è stato più valore di una parte e non dell’altra, quanto invece un elemento dato, però coniugato differentemente dai due candidati.
Se infatti Macron ha parlato -ed era tutto ovviamente previsto- di Federazione Europea, di Europa Federale, proprio ora che si trova alla guida del Consiglio dell’Unione Europea,ha sorpreso la fermezza della posizione di Marine Le Pen a favore di una “Europa delle Nazioni”, da noi più spesso evocata come “Europa dei Popoli”.

A dir la verità appunto non è una nuova posizione o proposta politica, ma non si può non segnalare il fatto che il terreno di scontro e di dibattito si sia quindi spostato (almeno in Francia, ma non è forse un segnale che vale anche sul piano internazionale almeno in Europa?!) dalla contrapposizione europeisti vs. antieuropeisti a…tutti europeisti, in battaglia però sull’idea concreta di europeismo da realizzare e quindi se un europeismo di tipo federale o meno.
Ma che vuol dire o meglio in cosa si differenzia il federalismo da un altro tipo di europeismo? Diciamo che per molto versi l’idea è già abbastanza chiara in chi di Europa studia e si appassiona, ma non è certo un concetto (o meglio una galassia di concetti) nota al grande pubblico.
Provando a semplificare: il federalismo spinge per un orizzonte comune agli Stati Europei dotati di politiche pubbliche comunitarie (monetaria, fiscale, difesa, estera, ecc., come già in parte è oggi l’Unione Europea), mentre l’idea di “Europa delle Nazioni” (che nasce proprio dal pensiero di Charles de Gaulle) ha l’obiettivo di tenere immutate le entità statali, in un senso più autonomista e non disponibile ad equiparare le diverse regioni e le diverse situazioni sociali e politiche presenti in europa tra loro.
Se fosse vera e duratura ad ogni modo la conquista dell’europeismo come valore e ideale condiviso sarebbe un ottimo risultato conseguito da questi due anni di pandemia, da questi quasi due mesi di guerra in Ucraina, e da queste elezioni francesi.

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