Laurie Spiegel è una compositrice statunitense proveniente dalla musica concreta, ambito che abbandonerà presto per dedicarsi alla ricerca elettronica e alla sua passione per quella computeristica.
Il concetto di “musica delle sfere”, antica e nobile filosofia medievale che sosteneva che l’armonia cosmica dei pianeti dominava tutto l’universo tramite un equilibrio supremo di leggi matematiche (concezione di stampo pitagorico), assume in lei un significato aggiornato alla sensibilità del suo tempo, grazie anche all’influenza della lettura di un testo base della sua formazione artistica: L’Armonia del Mondo di Giovanni Keplero.
In esso vi è la dimostrazione che non solo le stelle e l’infinito sono dominati da un’armonia che trascende il concetto stesso di musica in favore di un significato più metafisico, ma la suddetta è intrinsecamente legata all’uomo e alla sua anima, proprio perché è determinata dalle norme matematiche dell’essere umano.
Ovvio che la Terra, la dimora degli esseri viventi per antonomasia, possieda essa stessa uno spirito che “canta” ed è musicale.
Affascinata da tutto ciò, Laurie Spiegel nel 1977 compone un’opera dal nome di Kepler’s Harmony of the Worlds, che verrà inclusa nel celebre Voyager Golden Records lanciato nello spazio con l’omonima sonda per diffondere presso eventuali abitanti di altri pianeti, i suoni delle culture e dei popoli terrestri.
Nel periodo fra il 1974 e il 1977 esce The Expanding Universe, il disco che è il punto di arrivo della sua ricerca basata sugli studi del luminare tedesco, nonchè
svolta per la musica computeristica. E’ la risposta ai canoni dissonanti di quest’ultima, elaborati fin dai tempi di Morton Subotnik, per creare l’esatto opposto: una consonanza armoniosa che è lo specchio traslato di quanto elaborato dal pensatore luterano.
Tuttavia il traguardo è la teoria dell’universo in espansione dello scienziato e astrofisico americano Edwin Hubble. Dal Big Bang si procede costantemente secondo un principio di dilatazione uniforme dettato da precise leggi matematiche; la base è l’osservazione delle galassie più remote, quali nodi e punti fermi di un nuovo metodo di ricerca sull’allontanamento delle masse stellari e sui principi che lo regolano.
E come rappresentare sul piano musicale questa concezione se non affidandosi alle potenzialità innumerevoli del computer in ambito di creazione sonora?
Ecco appunto The Expanding Universe.
Il disco originale consta di quattro brani: la prima facciata è occupata dai primi tre, mentre la seconda è interamente dedicata alla suite che prende il nome dal titolo.
Patchwork in apertura e siamo dalle parti di una fusione fra il minimalismo di Terry Riley e di Steve Reich, con le atmosfere di certa Kosmische Musik tedesca (Cluster). Tutto si svolge per dieci minuti fra levitanti ondulazioni di synth caracollante e dondolante, luminescente e sfarfallante: è un invito al distacco della mente ed all’abbandono dei sensi.
Senza alcun dubbio, siamo di fronte a un’opera culto dell’elettronica.
Old Wave è l’emotività suscitata dal mistero cosmologico grazie alle sue lente e ponderate scie di elettronica essenziale; ora pervaso da un leggero brivido, ora immerso in un’oscurità solenne, ci introduce alla contemplazione di quella meraviglia che si chiama spazio siderale.
Pentachrome invece è l’abbattimento della barriera temporale e, con i suoi drone sussurrati, base per nuovi codazzi di synth che paiono provenire da una dimensione remota, rievoca lo spirito ancestrale della creazione.
La traccia clou è la lunghissima title track, quasi mezz’ora di sinestesie armoniche per celebrare la Suprema Armonia del Creato. Qui la Spiegel supera sé stessa, elaborando una suite che travalica ogni confine e forgia la nuova estetica della computer music: abbatte lo sterile ed artificiale mondo della new age, crea una nuova iterazione fra l’uomo “anima mundi” e la macchina, infine rende omaggio alla più genuina linfa del Krautrock (soprattutto gali Ash Ra Tempel, ai Tangerine Dream ed al Klaus Schulze di Irrlicht).
Marco Fanciulli per Frequencies
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