Come ogni anno, il 25 novembre si celebra la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una data scelta non a caso, ma ispirata all’assassinio delle giovani sorelle Mirabal, attiviste politiche, avvenuto il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana. La colpa di queste colte e benestanti donne e madri di famiglia era stata quella di non volersi piegare al volere del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. La storia ha poi dato ragione alle sorelle Mirabal, dette las mariposas, le farfalle, nome di battaglia che si erano scelte, facendo di loro un’icona di libertà e di opposizione alla violenza, specialmente nella Repubblica Dominicana, nazione ormai resa democratica. Un’icona diventata globale dopo che l’Assemblea delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, invitò tutti i governi a mettere in atto iniziative con le quali sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza alle donne, sia in ambito pubblico che domestico. Ma vanno ricordati anche il precedente accordo raggiunto nel 1981 durante il primo incontro femminista latinoamericano e caraibico a Bogotà, in Colombia, e la campagna di sedici giorni di attivismo contro la violenza di genere avviata nel 1991 dal Center for Global Leadership of Women.
La Chiesa cattolica ricorda invece Caterina d’Alessandria, vergine e martire, condannata a morte circa nel 305 da un imperatore romano, forse Massimino Daia, per aver rifiutato i riti pagani con sacrifici animali, cui all’epoca erano avvezzi anche molti cristiani, e aver chiesto di riconoscere Gesù Cristo come redentore dell’umanità. La colpa fatale di Caterina fu quella di riuscire a far convertire al Cristianesimo anche coloro che erano stati incaricati di convertire invece lei stessa.
L’evoluzione legislativa
Secondo l’articolo 1 della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, emanata dall’Assemblea Generale nel 1993, la violenza contro le donne è “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”. Rientrano dunque nella violenza di genere lo stalking, le molestie, le aggressioni, lo stupro e il femminicidio. Ma anche le mutilazioni genitali, l’aborto forzato o i matrimoni combinati, violenze forse ancora troppo lontane dall’orizzonte della giustizia occidentale. Nella stessa dichiarazione si riconosce la matrice storica, sociale e culturale della violenza di genere: “Il femminicidio è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, e ha impedito un vero progresso nella condizione della donna“.
Non esiste ancora, tuttavia, in Italia una legge che inasprisca le pene per chi commette atti discriminatori o violenza per motivi fondati sul sesso, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, ovvero i cosiddetti crimini di odio contro persone per il solo fatto di appartenere a un determinato gruppo sociale, come richiederebbe la convenzione di Istanbul, ratificata peraltro anche dall’Italia. Lo dimostra il disegno di legge Zan, il cui iter per l’approvazione è stato recentemente bloccato al Senato, dimostrando l’animo profondamente retrogrado dei nostri governanti.
La legge sulla violenza sessuale in Italia in cui si riconosce lo stupro come reato contro la persona e non più contro la morale è datata 1996 (Legge n°66). Vengono abrogati i reati di “violenza carnale” e di “atti di libidine violenti” (la differenza stava nel fatto che il primo prevedeva il coito e il secondo no e quindi il primo era punito più severamente) per parlare solo di “violenza sessuale”, che viene definita nell’articolo 609-bis il reato di chi “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringa taluno a compiere o subire atti sessuali” e di chi “induca un altro soggetto a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona“.
Con la Legge 4 aprile 2001, n. 154 vengono introdotte nuove misure volte a contrastare i casi di violenza all’interno delle mura domestiche con l’allontanamento del familiare violento. Nello stesso anno vengono approvate anche le Leggi n. 60 e la Legge 29 marzo 2001, n. 134 sul patrocinio a spese dello Stato per le donne, senza mezzi economici, violentate e/o maltrattate, uno strumento fondamentale per difenderle e far valere i loro diritti, in collaborazione con i centri anti violenza e i tribunali.
Con la Legge 23 aprile 2009, n. 38 sono state inasprite le pene per la violenza sessuale e viene introdotto il reato di atti persecutori ovvero lo stalking.
Il 15 ottobre 2013 è stata approvata la Legge 119/2013 (in vigore dal 16 ottobre 2013) “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che reca disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”.
Le donne, purtroppo, sono più degli uomini, vittime di aggressioni, anche nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, in particolare nelle postazioni di guardie mediche e nei Pronto soccorso. Il 14 agosto 2020 il Parlamento ha approvato la Legge n.113 che dispone misure di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni.
I simboli
Nel tempo si è cercato dei radicalizzare nella società l’importante principio della lotta contro la violenza sulle donne fornendo dei simboli che diventassero una tradizione. Tra questi, le scarpe rosse e le panchine rosse posizionate nelle città.
Perché le scarpe rosse? In tutto il mondo sono diventate un simbolo per ricordare le vittime di femminicidio amplificando la forte intuizione di un’artista messicana, Elina Chauvet, che nel 2009 realizzò l’opera Zapatos rojos, Scarpette rosse, che venne poi esposta nelle città vicino ai monumenti e nelle piazze per dire stop alla violenza di genere. In Italia, le scarpette rosse hanno visitato Milano, Genova e Lecce.
La panchina rossa è invece un’idea nata in Italia e si tratta di un progetto lanciato dagli Stati Generali delle donne, partito per la prima volta il 18 settembre 2016 per iniziativa del Comune di Lomello. In breve tempo, moltissimi comuni d’Italia hanno aderito all’iniziativa installando una panchina rossa nel territorio comunale. Su ogni panchina viene affissa una targa che ne spiega la finalità, riporta un riferimento al numero antiviolenza, il 1522, e in alcune zone sono stati aggiunti anche i nomi delle donne uccise in quel territorio. Sull’altopiano troviamo le panchine rosse ad Asiago, Gallio e Lusiana Conco.
I numeri della violenza in Italia e in Europa
Dall’inizio del 2021 le vittime di femminicidio in Italia sono state 86, delle quali 60 sono state vittime del partner o dell’ex partner. Numeri pressoché costanti negli anni: le donne uccise in ambito familiare o comunque affettivo sono state infatti 111 nel 2018, 94 nel 2019 e 99 nel 2020. Un fenomeno di carattere strutturale e non emergenziale, secondo il presidente della Camera, Roberto Fico.
Secondo il rapporto della commissione parlamentare d’inchiesta sulla violenza sulle donne presieduta dalla senatrice Valeria Valente, che ha preso in esame 237 fascicoli processuali degli omicidi di donne avvenuti tra il 2017 e il 2018, soltanto il 15% delle donne uccise aveva denunciato quello che sarebbe diventato il loro carnefice, mentre il rimanente 85% aveva subito in silenzio o ne aveva accennato a persone di fiducia.
In tutta Europa, nel 2019 i dati Eurostat fanno rilevare 1.421 donne uccise: 285 in Francia, 276 in Germania, 126 in Spagna e 111 in Italia.
Nel mondo, la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3.
Nel corso degli ultimi due anni la pandemia ha provocato ripercussioni anche in questo ambito, costringendo le persone a restare nel proprio ristretto ambito familiare con il lockdown ed esponendole ancora di più alle violenze domestiche, complici anche le risorse economiche in diminuzione. Nel 2020 le chiamate al 1522 sono aumentate del 79,5% rispetto all’anno precedente, sia per telefono sia via chat. Diminuisce l’età delle donne che chiedono aiuto, che si sono rivelate essere il 2% in più sotto i 24 anni rispetto al 2019. Tuttavia, il problema riguarda in maniera crescente anche le donne sopra i 55 anni, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente.
Chiedere aiuto e denunciare
Resta sempre nel mirino il fondamentale obiettivo di convincere le donne vittime di violenza a chiedere aiuto e denunciare senza paura gli autori, ma anche l’appello a chiunque assista a fenomeni di violenza ai danni di vicine di casa, amiche, colleghe, conoscenti e così via. Non segnalare in base al principio perbenista del volersi fare gli affari propri rende complici del carnefice e può far perdere la serenità o, peggio, la vita alla donna che sappiamo essere in pericolo.
Troviamo nel sito del Ministero della Salute tutte le indicazioni utili per segnalare violenze.
- 112: chiamare il numero di emergenza senza esitare né rimandare:
- in caso di aggressione fisica o minaccia di aggressione fisica;
- se si è vittima di violenza psicologica;
- se si sta fuggendo con i figli (eviti in questo modo una denuncia per sottrazione di minori);
- se il maltrattante possiede armi.
- Numero antiviolenza e anti stalking 1522 – Il numero di pubblica utilità 1522 è attivo 24 ore su 24 per tutti i giorni dell’anno ed è accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile, con un’accoglienza disponibile nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. L’App 1522, disponibile su IOS e Android, consente alle donne di chattare con le operatrici. È possibile chattare anche attraverso il sito ufficiale del numero anti violenza e anti stalking 1522.
- App YouPol realizzata dalla Polizia di Stato per segnalare episodi di spaccio e bullismo, l’App è stata estesa anche ai reati di violenza che si consumano tra le mura domestiche.
- Pronto Soccorso, soprattutto se si ha bisogno di cure mediche immediate e non procrastinabili. Gli operatori sociosanitari del Pronto Soccorso, oltre a fornire le cure necessarie, sapranno indirizzare la persona vittima di violenza verso un percorso di uscita dalla violenza.
- Mappa dei consultori in Italia.
- Centri antiviolenza sul sito del Dipartimento delle pari opportunità.
- Farmacie, per avere informazioni se non è possibile contattare subito i Centri antiviolenza o i Pronto soccorso.
- Telefono Verde AIDS e IST 800 861061 se si è subita violenza sessuale. Personale esperto risponde dal lunedì al venerdì, dalle ore 13.00 alle ore 18.00. Si può accedere anche al sito www.uniticontrolaids.it
- Poliambulatorio dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), dall’8 marzo 2021 è attivo il Servizio Salute e Tutela della Donna, dedicato alla presa in carico delle donne più fragili o comunque bisognose di assistenza sanitaria e psicologica.
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