L’addio di Sergio Frigo ad Anna Rigoni Stern

Venerdì, all’età di 99 anni si è spenta Anna Maria Rigoni Haus, vedova di Mario Rigoni Stern.

Sergio Frigo, noto giornalista e presidente del Premio intitolato allo scrittore asiaghese ha pubblicato nel proprio profilo Facebook uno splendido ricordo della moglie di Stern che, riportiamo integralmente.

Addio ad Anna Rigoni Stern

Fra noi amici del Mario si diceva con affettuosa ironia di Anna Maria Rigoni Haus, per oltre mezzo secolo sua compagna di vita, che il vero Sergente, in casa, era lei, più che il marito. Ora Anna se n’è andata, giovedì notte nella sua casa in Val Giardini, ad Asiago, a pochi mesi dal centesimo compleanno: era nata infatti il 21 marzo del 1922, poco più di quattro mesi dopo il marito. Come lui aveva chiesto che la notizia della sua morte fosse resa nota solo dopo i funerali, che si sono svolti nel pomeriggio di ieri, presenti solo i familiari.
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Figlia di Toni Haus, tuttofare della Banca Popolare dei Sette Comuni, aveva frequentato la stessa scuola di Mario, le elementari e poi tre anni di avviamento, distinguendosi fin da bambina per il temperamento schietto e le doti sportive, in particolare nel tiro a segno, grazie alle quali era stata chiamata più volte a rappresentare il suo paese nelle gare degli universitari fascisti, sebbene non avesse i titoli scolastici: aveva imparato a sparare col moschetto dal padre e dallo zio, e a 16 anni aveva preso la licenza di caccia, una passione che avrebbe abbandonato solo con la nascita dei figli. Mario si era avvicinato a lei all’inizio del ’42, dopo la fine del suo amore platonico con Clary, la ragazzina di Venezia: non era stata una conquista facile però, infatti Anna prima di accettare la sua corte – nel corso della Rogazione – gli aveva detto no per tre volte. Poi il futuro scrittore – come scrisse con tenerezza e allegria in “L’ultima partita a carte” – chiese come da usanza il permesso di fidanzarsi ai genitori di lei: “Per me va bene – rispose la mamma di Anna – ma ne parli prima con suo padre”; e questi, al suo ritorno: “Per me va bene. Ma parlane prima con sua madre”.
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“La sera prima del ritorno al reggimento – scrisse Mario – la salutai alla presenza dei suoi e sulla porta le sussurrai: “Domani mattina prima delle cinque verrò a battere sulla finestra della tua camera per darti un saluto”. Non mi aspettavo tanto, lei venne ad aprire in camicia da notte e spontaneamente ci baciammo. Aveva il tepore del letto, odore di bucato. Era una mattina luminosa d’estate e il ricordo di quel bacio, di quel mattino, mi fu di grandissimo aiuto nei giorni dove in tanti morivano”.
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L’anno successivo, durante la ritirata di Russia, quando anche di Rigoni Stern mancavano notizie, lei era andata a piedi scalzi assieme a un’amica fino al lontano Santuario del Buso, sotto Gallio, per chiedere alla Madonna il ritorno del fidanzato.
Al rientro di Mario dal fronte l’aveva aiutato a reinserirsi nella vita normale, e l’aveva sposato nel maggio del ’46, rimanendo subito incinta del figlio Alberico. Mario nel frattempo diventa impiegato del catasto, e la giovane famiglia cambia parecchie case, rimanendo sull’altopiano anche quando il capofamiglia per dissidi politici col capufficio viene trasferito per alcuni anni ad Arzignano. Sono gli anni in cui nasce il Sergente nella neve, che aprirà a Rigoni Stern le porte della grande letteratura, assicurandogli anche una buona notorietà e un piccolo introito aggiuntivo alla misera paga da impiegato.
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Anna, che all’inizio non era per niente entusiasta del tempo dedicato dal marito alla scrittura, gli darà nel frattempo altri due figli – Giovanni Battista, nel 1950, e Ignazio, nel 1955 – e gli assicurerà il supporto quotidiano e organizzativo che contribuiranno alla sua riuscita come scrittore: il suo rigore nella gestione degli appuntamenti del marito sarebbe diventato proverbiale negli anni successivi, quando l’abnorme numero di inviti che gli arrivavano l’avrebbe distratto dalla scrittura. Lei condivideva però volentieri le frequentazioni e poi l’amicizia con gli scrittori e gli intellettuali che arrivano nella loro casa, in Val Giardini, a passare qualche ora con Mario o a camminare con lui nei monti dell’altopiano: a lei Primo Levi dedicò la poesia “Il disgelo”.
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Gli fu inoltre fedele compagna nei numerosi viaggi che Mario fece nei luoghi della guerra e della prigionia, a partire dagli anni ’70, nel corso dei quali – confessò – comprese a fondo il dolore che quelle terribili esperienze avevano sedimentato nel suo cuore e che a lungo avrebbero tormentato le sue notti.
Naturalmente gli fu dolorosamente accanto nei mesi della malattia, a cavallo fra il 2007 e il 2008, e dopo la sua morte, il 16 giugno di quell’anno, continuò a vivere nella loro casa, circondata dall’affetto dei figli e dei lettori del Mario, sempre indomita ma sempre più sofferente per i malesseri dell’età e insofferente per le sue limitazioni. Aspettava con ansia che la parola fine chiudesse questo ultimo periodo segnato dalla tristezza e dal dolore.
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– Sergio Frigo
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