‘Trasformista’, ‘voltagabbana’, ‘banderuola’, ‘opportunista’, ‘cambiacasacca’, ‘traditore’, ‘transfugo’: conoscete altri termini per indicare, più o meno (s)cordialmente chi cambia partito? Ne sono stati coniati ormai mille e più! Ne parliamo ancora oggi per due motivi: l’arrivo del Governo Draghi ed il suo primo voto di fiducia hanno comportato una girandola cospicua di parlamentari (sono 65 i cambi di gruppo avvenuti nei solo gennaio-febbraio-marzo del 2021); il neo Segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha dichiarato di voler combattere il transfughismo, poiché, a suo dire, pratica che allonta tantissimi dai partiti e dalla politica.
Ma cosa è il transfughismo? La Treccani, con tanto citazione di professori di diritto costituzionale, ci dice: «“Uno dei fenomeni più vistosi della crisi del sistema politico-parlamentare e che più alimenta l’anti-politica è senza dubbio il cosiddetto transfughismo parlamentare, cioè il passaggio in corso di legislatura di deputati e senatori dal gruppo del partito per cui sono stati eletti a un altro, spesso creato per l’occasione.” (Roberto Della Seta e Salvatore Curreri, Europa, 5 luglio 2012, p.1, Prima pagina).»
Ora, sappiamo bene tutti che nel nostro sistema istituzionale esiste un tassello molto importante: il divieto del vincolo di mandato collocato al mai modificato articolo 67 della Costituzione, a cui segue -e non casualmente- l’articolo 68 (questo invece sì modificato più volte) che ha ad oggetto l’immunità dell’eletto e l’insidacabilità delle sue posizioni espresse. Gli articoli 67 e 68 si potrebbero ben leggere assieme poiché così sono stati pensati: sono tra le affermazioni più forti e chiare avverso pratiche le antidemocratiche messe in campo nel ventennio fascista. Ciò che affermano gli articoli 67 e 68 è che ciascun deputato e senatore nello svolgimento delle proprie funzioni è ben libero di esprimersi senza che gli sia chiesto di dover rispondere ad altro pensiero al di fuori del proprio, così da garantire sia la libertà dal partito/lista in cui viene eletto sia dal poter esprimere il proprio voto senza previa ulteriore consultazione del corpo elettorale, e, ancora, senza subire alcuna ritorsione per quanto espresso. Il senso specifico dell’articolo 67 è quindi quello di non creare dei meri ambasciatori degli elettori, ma persone con la propria testa pensante, cui gli elettori hanno scelto di affidarsi. Ed entro la libertà di navigazione politica dell’eletto vi è anche quella di scegliere a quale gruppo parlamentare aderire. E d’altronde non dimentichiamoci che quando vennero ideati e varati, gli articoli 67 e 68 erano la garanzia del singolo e di tutti gli eletti di non essere mai più ostaggi di un Governo quale che fosse, affermando così pienamente il principio della sovranità parlamentare (e non dell’esecutivo) indicato proprio all’articolo 1 della nostra Costituzione.
Questo punto appare insuperabile quindi per via di legge ordinaria, dovendosi se mai attuare una riforma costituzionale: ipotesi impervia e non consigliabile a chicchessia, vuoi perché si dovrebbero compiere due passaggi in ciascuna Camera (e tutti sappiamo della balcanizzazione attuale del Parlamento), vuoi perché dovrebbero essere gli stessi parlamentari a limitarsi in una propria prerogativa ormai non di rado assai utile, vuoi perché le ultime esperienze in fatto di modifiche costituzionali hanno avuto esiti non sempre felici.
Con prospettiva storica, durante la prima repubblica (dal 1946 al 1992-1994) il problema del cambio di gruppo non si pose mai troppo: il sistema partitico era ideologicamente così ferreo da rendere complesso anche da motivare politicamente un cambio di gruppo, e dato anche il sistema elettorale a preferenze difficilmente il transfuga avrebbe ottenuto al turno successivo preferenze personali in un campo dove era o sconosciuto o avversato sino a pochissimo tempo prima.
Ora, sia chiaro che il trasformismo in senso lato è vero e vecchio quanto il Parlamento italiano, da intendersi perfino quello del Regno d’Italia! Eppure durante le esperienze del Regno e della prima repubblica a “trasformarsi” erano le formule di Governo.
Non si può non evidenziare che la cattiva prassi del cambio di gruppo da parte di singoli parlamentari sia entrata in voga a partire dalla seconda repubblica, con la caduta delle ideologie e dei blocchi contrapposti, ed in progressivo aumento nel corso degli anni e delle legislature. Pensate che nella scorsa Legislatura (2013-2018) si è infatti toccato l’apice, arrivando a 566 cambi di gruppo, divisi tra Camera (313) e Senato (253). In totale però si sono spostati “solo”
347 parlamentari (48 hanno effettuato infatti più di uno spostamento), cioè ben il 36,53% del totale. La domanda è quindi: come si contrasta il transfughismo?!
Il Parlamento italiano stesso aveva ben registrato questa abitudine davvero poco apprezzata dai cittadini, ed infatti aveva, finalmente, approntato contromisure regolamentari: il 20 dicembre 2017 il Senato approvava nuove e significative modifiche al proprio Regolamento (articoli 13, 14, 15), atte appunto a disincentivare il cambio di gruppo diciamo impulsivo, prevedendovi alcuni disincentivi.
E così a fianco del già presente requisito quantitativo per formare un gruppo parlamentare (20 Deputati alla Camera, 10 Senatori al Senato), si è introdotto qualche parametro qualitativo.
Per costituire un gruppo al Senato questo deve corrispondere a un partito o movimento politico, anche dato dall’aggregazione di più partiti o movimenti politici, che alle elezioni del Senato abbia parteciato con propri candidati, proprio simbolo e abbia quindi ottenuto qualche eletto. L’unica eccezione di gruppi “autorizzati” è quella per le minoranze linguistiche, eccezione sensata e storicamente fondata, peraltro poi uno dei gruppi da sempre più solidi e integri. Ancora il divieto di costituire nuovi gruppi, salvo se dati dall’unione di gruppi già presenti al Senato. Ed infine, vero deterrente perché vera sanzione al cambio di gruppo è aver previsto che il transfuga decada immediatamente dalle eventuali cariche previamente ottenute di Presidente e membri dell’Ufficio di Presidenza delle Commissioni e da quelle di Vicepresidente o Segretario d’Assemblea (chiaramente è esclusa la Presidenza del Senato, invece incomprensibilmente quella di Questore).
Ma sarà forse tutto ciò bastato? Eh, beh, che dire: no.
E così se già sembrò si tirasse un poco il nuovo Regolamento allorquando ad inizio di questa Legislatura si concesse la costituzione di una componente unipersonale col nome di Nuovo PSI al senatore Nencini (vincitore in collegio uninominale, mentre la sua lista di appartenenza “Insieme- Europa”, cartello elettorale federativo dei raffigurati simboli del Partito Socialista Italiano, dei Verdi e di Area Civica non aveva conquistato alcun posto nel proporzionale), ancor di più stonò (ai limiti del rispetto del Regolamento e forse quindi anche della Costituzione) quando venne concesso a Nencini di accogliere nel proprio gruppo i transfughi dal PD ad inizio autunno 2019, rinominando il proprio gruppo PSI – Italia Viva. Decisamente una serie di interpretazioni a maglie larghe, larghissime, del nuovo Regolamento del Senato. Le misure approntate al Senato si sono quindi rivelate o insufficienti o facilmente aggirabili dagli stessi senatori.
Letta evidentemente sa tutto ciò e non ignora anche le altre forme di dissuasione presenti in altri parlamenti: in Spagna, in Portogallo, in Germania, negli Stati Uniti e, all’orecchio di chi scrive, in particolare al Parlamento Europeo.
Al Parlamento Europeo non esiste il Gruppo(ne) Misto, ma la sezione dei Non Iscritti, cioè coloro che non aderendo ad alcuno dei Gruppi restano ‘senza casa’, e quindi non ottengono alcun incarico poiché si presume rappresentino ‘solo sé stessi’, e non ricevono alcun beneficio (economico o di lavoro parlamentare o istituzionale che sia): sono davvero azzoppati nello svolgimento del proprio mandato, mandato ottenuto a seguito di candidatura, per forza di cose, in una delle liste che hanno aderito ad un gruppo parlamentare poi costituitosi.
Letta non ha detto a quale altro parlamento e quali regole si riferisse, ma è stato chiaro sull’indicarlo come una priorità nel campo istituzionale.
Ed allora pare utile indicare ora qui 2 elementi. Il primo è che il tranfughismo è stato individuato come cattiva prassi da combattere sia al momento della siglatura del contratto di Governo Conte I tra Lega e Movimento 5 Stelle (proprio esplicitamente), sia al momento dell’accordo su similare patto di Governo Conte II tra Movimento 5 Stelle e PD (in maniera più generale e generica).
Letta dopotutto non ha quindi tirato fuori un elemento nuovo, ma lo ha indicato come propria priorità, auspicando di inserirla nella agenda politica nazionale. Il secondo è che, contrariamente a tanti altri temi che ha posto quali ius soli e voto ai sedicenni, nessun partito o leader ha espresso dissenso sul tema o manifestato comprensione verso le girandole parlamentari, che peraltro in questo primo scampolo di 2021, accesissimo in ambito parlamentare, ha lasciato feriti in ogni gruppo.
Se quindi il cambio di casacca è da sempre ormai prassi sì frequente e fastidiosa per gli elettori; se i
principali partiti presenti in Parlamento e graditi agli elettori (Lega, PD, Movimento 5 Stelle) si sono espressi per contrastarla; se il Segretario del PD l’ha posta così esplicitamente sul tavolo della discussione; se non si sono registrate obiezioni da parte degli altri leader di partito, davvero resta solo da chiedersi quando e come un rimedio verrà posto.
Certamente una qualche forma di regolamentazione è ormai necessaria vista la volubilità partitica di coloro che tutti noi eleggiamo ai vertici dello Stato. E però non può non tenersi conto che qualsiasi regola può essere elusa, scansata in questo ambito che inerisce profondamente la libertà di pensiero e politica di ogni eletto.
Il vero auspicio dovrebbe forse essere – pur senza scomodare Kant e la Legge Morale che dovrebbe albergare in ciascuno di noi – una ripresa morale (forse anche sul piano delle ideologie quindi?) degli eletti, ossia che sviluppino in sé un più forte richiamo ed ancoramento personale, intimo, a ciò su cui hanno messo la propria faccia. Più facce pulite e meno facce di bronzo, verrebbe da dire con uno slogan forse un po semplicista.
Qualunque regola può essere elusa, sì, e a ben vedere anche una regola morale, per di più ove questa non è così salda. Qualunque regola, sì, salvo quella costituzionale. Ed allora forse, con slancio considerevole, coraggio da leoni e fermezza di correggere davvero la cattiva prassi, sarebbe una riforma costituzionale il vero atto da compiersi.
Dite che si troverà una soluzione entro la fine di questa legislatura, cioè al più tardi nel 2023?
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