La montagna veneta ha subito quest’anno il danno dovuto alle forti restrizioni per l’emergenza sanitaria in corso e la beffa delle nevicate natalizie, abbondanti come non lo erano più da anni.
Il Governo, di fronte all’imminente difficoltà di dover gestire tanti e diversi comparti economici, ha trovato rifugio nella soluzione più sicura: chiudere tutto, chiudere a tutti i costi, promettendo ristori sufficienti per tutte le categorie interessate.
In un altalenante andamento dei contagi, quello che risulta più evidente è la sofferenza del comparto turistico, all’interno del quale gravitano molte categorie commerciali, quali bar, ristoranti, alberghi, noleggi, impianti sciistici, negozi… Categorie che hanno pazientemente sopportato il peso delle difficoltà, mettendo in campo i risparmi accumulati con i sacrifici e attendendo tempi migliori. Oggi, dopo dieci mesi di Covid-19, quei risparmi sono ridotti al minimo se non addirittura terminati, i ristori sembrano non essere stati sufficienti per tenere a galla le attività e per alcune di esse non sono stati nemmeno previsti.
Non è una gara a scaricare le colpe, solo una concatenazione di eventi alla quale però è ora necessario mettere un punto.
Mercoledì scorso la montagna veneta ha protestato. Una protesta tanto silenziosa quanto profondamente significativa che ha coinvolto buona parte delle principali destinazioni invernali: Alleghe e la Marmolada, Alpago, l’Altopiano di Asiago Sette Comuni, Auronzo, Conca Agordina, Falcade, Feltre – Val Belluna, Nevegal, San Vito e la Val di Zoldo.
Durante la manifestazione i partecipanti si sono riuniti esponendo cartelli di protesta e l’attrezzatura da lavoro sulle proprie auto. Un significativo gesto per indicare la resa obbligata di fronte alla legge, ma soprattutto la voglia di ripartire insieme. Non solo maestri di sci, impiantisti e gestori di attività di noleggio: baristi, ristoratori, albergatori, negozianti e lavoratori stagionali. Decine di auto parcheggiate una accanto all’altra nel parcheggio del Kaberlaba, per quanto riguarda l’Altopiano, decine di persone che hanno chiesto non tanto un sostegno economico da parte del Governo, quanto la possibilità di ricominciare a lavorare.
“Siamo alberghi aperti secondo il dpcm, ma senza turismo, senza gli impianti, senza la macchina del turismo in funzione non possiamo ospitare nessuno e quindi, oltre che aperti, siamo senza ristori e senza gente”, ha dichiarato l’albergatrice Tamara Franquilli.
Il tour operator Daniele Paganin ha voluto sottolineare la silenziosità della protesta, “lo stesso silenzio che c’è in tutte le nostre montagne, con questo bellissimo paesaggio invernale, dove siamo tutti senza lavoro e aspettiamo non solo i ristori, ma soprattutto di iniziare a lavorare”.
Paolo Rigoni, del comprensorio sciistico Kaberlaba, ha proposto le alternative che si sarebbero potute adottare senza bloccare completamente il turismo invernale, analizzando le varie tipologie di impianti: dalle funivie alle cabinovie che si sarebbero potute scollegare o gestire senza assembramenti, dagli ski-lift (dove il distanziamento tra i traini è pari a circa dieci metri) al contingentamento degli skipass.
Fortunatamente le notizie delle ultime ore parlano di un passaggio del Veneto in zona gialla già da domenica 31 gennaio, aprendo così alla possibilità di un riavvio del turismo.
Il Presidente Zaia ha comunque fatto appello alla coscienza dei cittadini veneti affinché non abbassino la guardia, in questa guerra al nemico invisibile.
Sarà finalmente l’avvio verso la fine della crisi economica montana?
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