Chiara Stefani ci ha accompagnato nella piana dei Mörar, ad Asiago, dove la neve dei giorni scorsi ha spezzato le fragili tuie che circondano il monumento dedicato ai sette recuperanti che il 23 febbraio del 1974 persero la vita nell’esplosione di un deposito di tubi di gelatina risalente alla prima guerra mondiale.
È stata questa spesso la triste realtà dei recuperanti, uomini che nel secondo dopoguerra per necessità e poi per hobby hanno messo in gioco la propria vita andando in cerca di residuati bellici.
In quel lontano giorno di 46 anni fa, mentre due ragazzi andavano per divertimento alla ricerca di qualche reperto, il loro lie detector iniziò a suonare all’impazzata segnalando la presenza di qualcosa sotto la superficie del terreno. Attirati dalla curiosità, altri cinque ragazzi accorsero sul posto. D’improvviso un boato squarciò l’aria del pomeriggio. I tubi di gelatina che i genieri utilizzavano per far saltare reticolati, strade e ponti giacevano lì, in quel deposito dimenticato ad un centinaio di metri da una polveriera. Il tempo e il gelo non avevano deteriorato la gelatina, che appena appena sfiorata dal piccone di uno dei ragazzi esplose, creando un enorme cratere di dieci metri di diametro. Attorno a questa buca, per un raggio di oltre 500 metri, nei giorni successivi molti uomini proseguirono con le ricerche: recuperanti anch’essi, stavolta però di poveri resti umani. Si racconta che il pezzo più grande rinvenuto fosse un mezzo piede. Nell’aria, aleggiava la disperazione di quelle sette vite spezzate, di sogni infranti e di famiglie mutilate negli affetti.
Col tempo, con l’emigrazione e lo sviluppo del turismo, l’attività dei recuperanti è andata sempre più a ridursi.
Oggi il monumento viene mantenuto in ordine dagli Alpini, che proprio nello scorso febbraio erano intervenuti per ripulire l’area.
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